Annuncio shock dalla Wiener Secession: “
Lo spettatore è morto”. Sì, è l’ultimo, in ordine di tempo, di tutti quei lutti eccellenti cominciati con la morte dell’arte. Avendo fiducia in Baudrillard, però, non si fa che assistere alla perenne
illusione della fine. Quindi, allegri! Tutti morti tranne i vivi.
Il fatto. Con un sobrio cartoncino pieghevole, bianco listato a lutto, la Secession – ultracentenaria istituzione viennese delle arti, che però in questi anni d’euforia non ha certo brillato per iniziative clamorose – si rifà viva per dare il solenne annuncio di questa grave perdita. In altri termini, si tratta di un annuncio spedito in forma d’invito per l’inaugurazione di una mostra intitolata, appunto,
The Death of the Audience, implicitamente riferito al fruitore di tutte le espressioni artistiche. Un invito, a tutta prima, quanto mai paradossale o quanto meno prematuro, ma… Ma non se di “
audience” si dà una nozione convenzionale, che implica uno spettatore semplicemente passivo.
Come riportato all’interno dell’austero cartoncino, il concetto e il motivo della mostra è dettato dalla “
logica conseguenza” delle considerazioni espresse da Roland Barthes nel saggio
La morte dell’autore del ‘68. Qui Barthes, riferendosi esemplarmente alla letteratura, sanciva un indebolimento dell’artista, occultato dalle nuove prassi interpretative del testo. Come dire che il “vero” autore, la figura emergente, è il destinatario, ossia ogni individuo che entra in rapporto con l’opera. Così che “
prezzo della nascita del lettore non può essere che la morte dell’autore”.
Di rimando, Pierre Bal-Blanc, il curatore francese della mostra, posiziona lo spettatore fra due alternative radicali: o il suo mutamento per emancipazione sotto una dimensione inter-attiva, in cui l’arte definisce in modo nuovo lo stato dei protagonisti (secondo la visione teorica di Jacques Rancière); o il suo totale straniamento dall’opera, messo in atto da un processo di inter-passività e annullamento (secondo Slavoj Zizek). Ma, sembra di capire, emerge anche la possibilità di conciliare queste due alternative. Come? Per esempio, analizzando sotto un certo profilo la mostra in corso. Cosa non proprio agevole, in realtà.
A celebrare il lutto, dunque, c’è una schiera di oltre una trentina di artisti rappresentativi dei differenti generi, in bilico tra neo-avanguardia novecentesca e contestazione. Ci sono artisti più o meno conosciuti o decisamente poco noti, ma anche personalità di rilievo come
Yves Klein,
Pierre Klossowski o
Piero Manzoni, di cui finalmente, rievocando una performance marsigliese di
Bernard Bazile del 1989, si dà prova del “misterioso” contenuto del suo celebre barattolino. Manzoni non aveva mentito!
Ci sono quindi taluni interventi
ex post che rivisitano/rimaneggiano/contaminano/ricontestualizzano le opere. Ci sono
Lois & Franziska Weinberger, con un sofisticato intervento architettonico che converte in apparato ecologico la storica sede della Secessione; ci sono
Gianni Pettena,
Emilio Prini e
Carlo Quartucci & Carla Tato.
Quel che unisce tutti gli artisti è che molto presto si son resi conto di agire oltre un certo limite, in quel territorio di apparente incomunicabilità descritto sopra nella seconda alternativa (Zizek). Il conseguente conflitto dovuto alla loro emarginazione, nonché la posizione d’isolamento dalle istituzioni e dal mercato, li ha resi consapevoli di trattare l’arte come prassi critica, in modo concreto e costante.
Dunque, con il loro strappo hanno sostanzialmente attuato anch’essi una nuova forma di secessione. Una secessione di cui ci siamo dovuti – o ci dobbiamo? – tutti appropriare come atto di rifiuto di una fruizione prefissata. Decretando, pertanto, la fine dello statuto convenzionale di “spettatore”.