Figura ecclettica, influente e controversa nella storia della fotografia del XX secolo,
Edward Steichen (Lussenburgo, 1879 – New York, 1973) emerge dalla retrospettiva a lui dedicata dal Jeu de Paume come un ponte gettato tra i due lati dell’Atlantico all’inizio del Novecento. Un anello di congiunzione innegabile tra il circolo modernista newyorkese e la scena parigina promotrice dell’arte moderna, da
Matisse a
Picasso.
D’origine europea, emigra giovanissimo negli Stati Uniti per ragioni economiche. Si appassiona alla fotografia dall’età di sedici anni, spostandosi da Londra a Parigi per approdare infine a New York nel 1902. Qui incontra Stieglitz e la rivista
Camera Work. Steichen vi collabora svolgendo un ruolo attivo nell’ambito di Photo-Secession, movimento nato dalla necessità di promuovere la fotografia come forma d’arte moderna, di riscattarla dalla sua posizione di subordinazione, di restituirle, infine, piena dignità e autonomia rispetto alle altre arti.
Gli scritti teorici e le fotografie riunite in questa prima parte della mostra hanno segnato la storia del modernismo americano. Una per tutte, la celebre immagine dell’edificio newyorkese
The Flatiron del 1905, che nelle sue successive istantanee su
Camera Work -ripreso in una giornata piovosa, nell’imminenza di un’improvvisa nevicata oppure immerso nel movimento febbrile del giorno- traccia la transizione progressiva verso il segno sempre più nitido e rigoroso della fotografia moderna.
Momento fondamentale, questo, della storia dell’immagine, che segna il passaggio da uno stile ancora impregnato dell’aurea romanticizzante e sfumata di ispirazione simbolista -denominato pittorialialismo- all’estetica moderna del dettaglio, della precisione, nel pieno fuoco, influenzata dalle forme astratte dell’avanguardia.
L’esposizione sottolinea anche visivamente questa transizione come una sorta di percorso interattivo che il visitatore è invitato a compiere, spostandosi da un livello all’altro della galleria come da un momento all’altro dell’estetica e della vita del fotografo. Una cesura sancita anche storicamente dall’evento del primo conflitto mondiale. Come dire, dopo il periodo difficile di crisi e transizione che Steichen definì un
“secondo apprendistato”, non era più possibile fotografare, dipingere allo stesso modo: la precisione e l’oggettività imposte dalle operazioni militari -si arruola come reporter di guerra per l’aviazione americana nel 1917- nonché la deriva dagli eventi storici e personali mettono fine allo stile accademico, sfocato e suggestivo del pittorialismo.
La precisione, la ricerca di una purezza formale, di una definizione intrinseca della cosa in sé si impongono ora come il tratto dominante della nuova estetica modernista nella sua aspirazione a una pura oggettività fotografica. Sulla scia del cubismo prevalgono i primi piani ravvicinati sull’oggetto, l’uso di molteplici prospettive, la focalizzazione estrema e i chiaroscuri taglienti rispetto allo sfondo. Basti pensare alla famosa foto
Douglass Lighters del 1928, un cliché di base commerciale realizzato per una campagna pubblicitaria di accendini che, in qualche modo, sembra riscattare, al limite, l’oggetto di consumo restituendolo attraverso la ricerca di un’essenzialità intrinseca alla visione che sfiora il limite dell’astrazione.
La ricerca di un compromesso tra la fotografia commerciale e quella artistica emerge come un nodo centrale in tutto il lavoro di Steichen. L’arte entra nel sistema di produzione industriale, nella società dei consumi e di riproduzione di massa;
ma, allo stesso tempo, mira a riscattare quell’oggetto, a restituirgli piena dignità, una nuova immagine di bellezza attraverso la sua sola forma estetica.
Dal 1923 al 1937 Steichen è assunto da Condé Nast come direttore del servizio fotografico per
Vanity Fair e
Vogue. Risalgono a questo periodo le immagini leggendarie dei volti più noti del cinema americano -quello enigmatico e affascinante di Greta Garbo per tutti- ma anche gli abiti e i modelli di grandi stilisti come Worth, Chanel o Schiapparelli. L’universo glamour della mondanità newyorkese è filtrato in controluce attraverso le fotografie di moda e i ritratti delle celebrità hollywoodiane. Una vera e propria galleria di volti rivelati dall’intuizione visiva, dalla capacità d’astrazione, dalla chiarezza di visione che hanno reso unico lo stile del fotografo. Infine, non si possono non menzionare le sequenze d’immagini dedicate alla danza di Martha Graham, dove la teatralità del gesto estatico ritorna fissato nell’istante immobile dell’immagine fotografica.