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27
ottobre 2009
fino al 31.I.2010 Turner and the Masters London, Tate Britain
around
Per i suoi cieli tempestosi e i per i suoi paesaggi sublimi guarda ai maestri del passato. Ma la sua ambizione è superarli. In mostra alla Tate Britain un pittore che fa dell’atmosfera il suo stile...
Eccentrico,
solitario e ambizioso fino all’arroganza, William Turner (Londra, 1775-1851) è determinato a provare agli
occhi del mondo che la pittura inglese può rivaleggiare e persino superare in
grandezza quella dei maestri del passato.
È però
una strada difficile quella dell’arte nell’Inghilterra di Giorgio III, soprattutto
per uno come lui, figlio d’un barbiere di Covent Garden. Ma il giovane Turner è
determinato a far sentire la sua voce nell’arena affollata della Royal Academy,
dalle pareti gremite da centinaia di quadri che competono per l’attenzione dei
presenti. E vi riesce.
Presto
arrivano i collezionisti privati, affascinati dalla sua personalità solitaria e
imprevedibile. E presto arriva
anche il successo: eletto Associato della Royal Academy nel 1799, ne diventa
membro a tutti gli effetti nel 1802, a soli ventisette anni.
Dotato
di uno sguardo attento e di una fine delicatezza nel rendere ciò che vede, come
Constable anche Turner è
affascinato dal paesaggio. Ma l’informalità del primo non gli si addice. Studia
invece la luce iridescente dei porti al tramonto di Claude Lorrain, il naturalismo dei paesaggi di Aelbert Cuyp e Jacob van
Ruysdael, i cieli tempestosi di van
de Velde.
Apprende
da Piranesi che la prospettiva da
sola può ispirare ammirazione e timore. Guarda a Tiziano, Veronese
e Canaletto per la brillantezza di
colori, e a Rembrandt per il
chiaroscuro. Dalle scene bibliche e mitologiche alle vedute di Venezia, dalle
sacre conversazioni ai personaggi di Shakespeare: Turner non lascia nulla d’intentato
nelle sue emulazioni.
E
da qui parte Turner and the Masters.
Con oltre cento opere fra dipinti dell’artista inglese e quelli dei maestri che
lo hanno ispirato, questa mostra è una vera gioia per gli occhi. Non solo: è
una ventata d’aria fresca che sfida la leggenda di Turner-genio-infallibile.
Qui
troviamo il sublime e il noioso, il geniale e il pomposo. Lo vediamo giocare a
emulare Watteau con catastrofici
risultati, perché la leggerezza del francese non si addice al suo animo
tempestoso. Un animo al quale persino il composto classicismo di Poussin – di cui vede L’Hiver ou Le Déluge (1660-64) al Louvre nel 1802, grazie alla temporanea
tregua offerta dalla Pace di Amiens tra Francia e Inghilterra – appare privo di
gravitas. Mancanza a cui rimedia
un paio d’anni dopo con la sua versione di The Deluge (1804-05).
Qui
ancora si realizza (con sollievo) che è un bene che Turner si sia dedicato al
paesaggio, perché della figura umana non era in grado di maneggiare la posa né
le proporzioni. La sua Holy Family
(1803), spietatamente appesa accanto alla Vergine con bambino di Tiziano, appare quasi caricaturale. La sua Jessica (1830), ispirata a La ragazza alla finestra di Rembrandt, pare la pubblicità d’un barattolo di
mostarda.
Ma
non importa. Perché invece di sminuirle, queste escursioni in generi che non
sempre gli sono congeniali esaltano le qualità pittoriche del Turner che
conosciamo. Quello di Snow Storm: Steam-boat off a Harbour’s Mouth (1842), per intenderci, il cui orizzonte infinito
fatto di aria e luce fa apparire The Opening of Waterloo Bridge di Constable – appeso poco distante – pignolo ed
esagerato.
Nel
suo testamento, Turner chiese che due delle sue tele fossero appese
permanentemente alla National Gallery accanto a quelle del suo idolo Claude. Un
tributo e una sfida. Un desiderio che da sempre è stato rispettato. E che forse
anche Lorrain avrebbe approvato.
solitario e ambizioso fino all’arroganza, William Turner (Londra, 1775-1851) è determinato a provare agli
occhi del mondo che la pittura inglese può rivaleggiare e persino superare in
grandezza quella dei maestri del passato.
È però
una strada difficile quella dell’arte nell’Inghilterra di Giorgio III, soprattutto
per uno come lui, figlio d’un barbiere di Covent Garden. Ma il giovane Turner è
determinato a far sentire la sua voce nell’arena affollata della Royal Academy,
dalle pareti gremite da centinaia di quadri che competono per l’attenzione dei
presenti. E vi riesce.
Presto
arrivano i collezionisti privati, affascinati dalla sua personalità solitaria e
imprevedibile. E presto arriva
anche il successo: eletto Associato della Royal Academy nel 1799, ne diventa
membro a tutti gli effetti nel 1802, a soli ventisette anni.
Dotato
di uno sguardo attento e di una fine delicatezza nel rendere ciò che vede, come
Constable anche Turner è
affascinato dal paesaggio. Ma l’informalità del primo non gli si addice. Studia
invece la luce iridescente dei porti al tramonto di Claude Lorrain, il naturalismo dei paesaggi di Aelbert Cuyp e Jacob van
Ruysdael, i cieli tempestosi di van
de Velde.
Apprende
da Piranesi che la prospettiva da
sola può ispirare ammirazione e timore. Guarda a Tiziano, Veronese
e Canaletto per la brillantezza di
colori, e a Rembrandt per il
chiaroscuro. Dalle scene bibliche e mitologiche alle vedute di Venezia, dalle
sacre conversazioni ai personaggi di Shakespeare: Turner non lascia nulla d’intentato
nelle sue emulazioni.
E
da qui parte Turner and the Masters.
Con oltre cento opere fra dipinti dell’artista inglese e quelli dei maestri che
lo hanno ispirato, questa mostra è una vera gioia per gli occhi. Non solo: è
una ventata d’aria fresca che sfida la leggenda di Turner-genio-infallibile.
Qui
troviamo il sublime e il noioso, il geniale e il pomposo. Lo vediamo giocare a
emulare Watteau con catastrofici
risultati, perché la leggerezza del francese non si addice al suo animo
tempestoso. Un animo al quale persino il composto classicismo di Poussin – di cui vede L’Hiver ou Le Déluge (1660-64) al Louvre nel 1802, grazie alla temporanea
tregua offerta dalla Pace di Amiens tra Francia e Inghilterra – appare privo di
gravitas. Mancanza a cui rimedia
un paio d’anni dopo con la sua versione di The Deluge (1804-05).
Qui
ancora si realizza (con sollievo) che è un bene che Turner si sia dedicato al
paesaggio, perché della figura umana non era in grado di maneggiare la posa né
le proporzioni. La sua Holy Family
(1803), spietatamente appesa accanto alla Vergine con bambino di Tiziano, appare quasi caricaturale. La sua Jessica (1830), ispirata a La ragazza alla finestra di Rembrandt, pare la pubblicità d’un barattolo di
mostarda.
Ma
non importa. Perché invece di sminuirle, queste escursioni in generi che non
sempre gli sono congeniali esaltano le qualità pittoriche del Turner che
conosciamo. Quello di Snow Storm: Steam-boat off a Harbour’s Mouth (1842), per intenderci, il cui orizzonte infinito
fatto di aria e luce fa apparire The Opening of Waterloo Bridge di Constable – appeso poco distante – pignolo ed
esagerato.
Nel
suo testamento, Turner chiese che due delle sue tele fossero appese
permanentemente alla National Gallery accanto a quelle del suo idolo Claude. Un
tributo e una sfida. Un desiderio che da sempre è stato rispettato. E che forse
anche Lorrain avrebbe approvato.
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mostra
visitata il 24 settembre 2009
dal
23 settembre 2009 al 31 gennaio 2010
Turner
and the Masters
a
cura di David Solkin, Ian Warrell, Philippa Simpson and Martin Myrone,
Tate Britain
Millbank – SW1P 4RG London
Orario: tutti i giorni ore 10-17.50 (ultimo ingresso ore 17); fino alle 22 il
primo venerdì del mese
Ingresso: intero £ 12,50; ridotto £ 11
Catalogo £ 19,99
Info: tel. +44 02078878888; visiting.britain@tate.org.uk;
www.tate.org.uk
[exibart]