Fabrizio Plessi (Reggio Emilia, 1940), per questa sua grande personale berlinese, costruisce un incantevole Traumwelt, un “mondo di sogni” da cui affiorano monumentali tracce d’evocazione.
I suoi ambienti immersivi sono strumenti al servizio di un nomadismo onirico. Immagini pesanti, solide, forti. E insieme liquide, come fragili schermi tecnologici.
Plessi ricostruisce qui 15 luoghi del mondo, 15 metropoli raccontate da oggetti, suoni, architetture poetiche: città sospese tra utopia e realtà, tragedia e immaginazione, evasione e storia.
Sono opere concepite e realizzate nell’arco di vent’anni. Qui raccolte per dar forma ad un unico, grandioso progetto.
L’ingresso del Martin Gropius Bau è dominato dalla possente installazione Manaus. Enormi tronchi sospesi al soffitto evocano la foresta amazzonica che circonda la città brasiliana.
I fusti, perfettamente cilindrici, “proiettano” a terra pozzi di vivida acqua elettronica.
Ed è come se uno scrosciare di pioggia tropicale arrivasse alle orecchie, assieme a un odore di corteccia umida.
Procedendo dall’ingresso, si accede alla sala centrale. Uno spazio immenso, un’architettura ibrida dal sapore classico, trasformata in un specie di tempio pagano immerso nel buio. Qui sorge l’installazione regina: la Flotta di Berlino, un omaggio alla città tedesca. Dodici barche veneziane, ognuna lunga 12 metri, sono sospese a 8 metri da terra, capovolte. Le sorregge una complessa struttura in acciaio che, articolando lo spazio, le fa oscillare lentamente con un movimento ipnotico. Una minaccia sommessa continua a bruciare il legno scuro, senza consumarlo mai: schermi di fuoco, dall’interno delle barche, emanano fiamme di luce rossa. Infernale litania visiva, che ambiguamente si confonde con la musica diffusa, eterea, senza tempo.
La stanza dedicata a Roma è scandita dal ritmo di una grossa costruzione circolare che racchiude un anello di monitor. Sugli schermi “scorrono” flussi d’acqua impetuosa. Il pensiero va al Tevere, ai corsi d’acqua sotterranei, al Colosseo, al movimento ciclico della storia in atto.
Per la città di Sarajevo Plessi edifica una stele di valige logore che raccontano tutta la nostalgia e la disperazione di un popolo in fuga. Le sorregge un monitor a raggi X, uno di quelli che negli aeroporti ispezionano l’interno dei bagagli: la luce fredda e grigia mette a nudo la povertà di chi non possiede nient’altro che la possibilità del viaggio. Condizione dell’uomo contemporaneo, iper-nomadico, sommerso di oggetti ma smaterializzato in un flusso dinamico ininterrotto.
L’installazione per Siviglia è un omaggio straordinario al Barocco spagnolo, ma è anche un viaggio attraverso la vicenda dello spirito umano. Qui la costruzione teatrale diventa elemento dominante. Plessi mette in scena un gioco infernale e drammatico: appare una macchina complessa che evoca paura e desiderio, espiazione e colpa, anelito religioso e impulso carnale, punizione e devozione. Dei confessionali, capovolti, sono appesi a possenti strutture lignee. Ruotano, imponenti, quasi a sfiorare il pavimento. Piccoli sportelli dischiusi lasciano intravedere l’interno: fiamme artificiali ardono come dentro a macabri inceneritori.
Serrati dietro un’alta rete metallica, i noti badili di Plessi affondano le punte dentro ad azzurri monitor silenziosi. E’ la stanza di Bronx, il sogno americano che si fa timore e sospetto. E’ la fatica vana di chi scava in fondo all’acqua, provando a raccogliere una materia che non si rapprende, un flusso di dati immateriale e schizofrenico. Bronx è l’immagine del progresso che avvince e avanza, e del caos della sovra-informazione che confonde e paralizza.
Il lungo cammino procede attraverso l’oriente, dai lavatoi pubblici di Bombay, alla foresta di fuoco di Kinshasa, dalle vasche per la tintura artigianale dei tessuti di Fez, al caos che inghiotte il Cairo, tra modernità e tradizione.
Elegante compendio della mostra sono gli studi preparatori su carta, i bozzetti delle installazioni: bellissimi, opere a sé, spezzano il ritmo del percorso, fornendo ulteriori passaggi e chiavi di lettura.
Il viaggio attraverso le metropoli invoca il sogno ma non cerca l’evasione. Non stacca il peso dal suolo e dalla consistenza drammatica della storia. Il sogno non è fuga ma costruzione complessa, apertura, esplorazione incauta.
Acqua e fuoco, materia primordiale e deliri tecnologici, carne e segno: il gioco tra le polarità complementari che fondano il lavoro di Plessi si fa qui imponente, esaustivo, coinvolgente. Sospendendo il fiato, per tutta la durata del viaggio.
helga marsala
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articolo magnifico!!!
brava helga un modo di informare pieno e di spessore!
ciao
myriam (dove vivi? mi piacerebbe conoscerti. io vivo a venezia ma giro molto..)