In A Gadda Da Vida, curata da Gregor Muir e Clarrie Wallis, offre la possibilità di incontrare in quarantadue opere l’originalità e la creatività di tre fra i maggiori protagonisti della scena artistica britannica e internazionale.
Il curioso titolo della mostra è mutuato da un LP della psichedelica rock band americana degli anni ’60, Iron Butterfly, e deriva dalle biascicate parole di un ubriaco Ingle Doug, al momento di registrare The Garden of Eden, come doveva inizialmente intitolarsi la canzone.
In A Gadda Da Vida si presenta allo spettatore come un open space, un panorama invaso da oggetti pop, a scala reale, nei quali gli artisti indagano, attraverso alterazioni metaforiche, le tradizionali tematiche dell’amore, della vita e della morte. Appare come un Giardino dell’Eden, rivisitato e corrotto.
Sesso, soldi e sangue. La visione unita di Fairhurst, Hirst e Lucas è di fortissimo, immediato, impatto emotivo. Lo spettatore viene impulsivamente attratto dalla effimera bellezza dei cangianti tondi di Damien Hirsh, miriadi di farfalle dalle ali spezzate. Il disincanto si fa subito più intenso accorgendosi della vicina presenza di un gigantesco e disorientante acquario pullulante di varie specie di pesci ed elementi estranei. The Pursuit of Oblivion (2004) citazione/omaggio a Painting (1946) di Francis Bacon, si presenta come un “memento mori” contemporaneo: salsicce, un ombrello aperto, teschio, coltelli, bottiglie di vino, e una carcassa appesa di metà mucca come nutrimento dei pesci, davanti al quale si viene inevitabilmente spinti nella riflessione sul ciclo morte/vita.
Il percorso prosegue, oscillando fra le altre teche di Hirsh e incontrando le creazioni di Sarah Lucas. Il suo approccio diretto e volgare alla contemporaneità è reso con la creazione di oggetti/luoghi comuni, recuperati dalla vita di ogni giorno. The Man Who Sold the world (2004), camion con la portiera aperta attraverso la quale lo spettatore può vedere gli interni completamente ricoperti da giornali porno e un braccio automatizzato nell’atto della masturbazione, sembra essere un attacco alla worker class. Molte delle altre sculture di Lucas sono manufatti finemente creati con gli scarti del capitalismo: sigarette e lattine di Coca. Christ You Know it Ain’t Easy (2003) è la scultura di Gesù crocefisso in scala reale, completamente creata con Malboro Light.
Dei tre artisti, Angust Fairhurst appare il più incline ad oscillazioni concettuali. I meccanismi della mente umana, secondo le teorie lacantiane, come per esempio la “fase dello specchio” sono esposte attraverso sculture di gorilla/Narciso. Metafore letterarie come foreste e selve sono ricreate dall’artista in carte da parati, accompagnano lo spettatore, disorientandolo e disturbandolo per l’intera seconda metà della mostra.
isabella falbo
mostra visitata il 31 marzo 2004
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