L’ultima personale di
Samuel Rousseau (Marsiglia, 1971; vive a Grenoble), che si tiene in una delle gallerie più interessanti di Bruxelles, contiene una forte dose di leggerezza e melanconia.
L’incipit è un autoritratto d’artista in forma d’uccellino tassidermizzato con la testa a martello (
Pic mur). Si entra nel vivo dell’esposizione con
Kalashnikov Feliz, arma di polistirolo colorato. “
La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”. Con queste parole Italo Calvino spiegava il senso del suo lavoro. Rousseau è un suo consanguineo, uno che per dire che la terra sta male la riempie di bubboni che pulsano, come nel video
Materna Prima, oppure intrappola un uomo dentro lo scolo di un lavabo (
Y a du passer quelque chose) dal quale il malcapitato, annichilito, tenta la fuga saltando.
L’artista usa il video su oggetti d’ogni genere e crea installazioni che evitano il cinismo contemporaneo, che fanno sorridere comunicando il senso di un’interrogazione attenta e di una certa inadeguatezza. Così accade in
Montagne d’incertitude, tele trattate per somigliare a modellini di pareti rocciose, popolate da piccoli scalatori: artisti che tentano la conquista della vetta. Si gioca nella dimensione del microscopico.
In
Le Festin de Délices un tavolo è apparecchiato per una romantica cena a due, in stile ottocentesco: sui fondi dei piatti retro proiettati c’è una coppia che fa sesso, le cui posizioni sono moltiplicate e trasformate in decorazioni. In una stanza,
Costellation de baisers propone una costellazione di carnose labbra femminili che schioccano baci senza fine, proiettate da uno stroboscopio munito di specchi. Dopo pochi istanti la camera dei sogni assume i contorni di una minaccia: lo spaesamento è avvenuto, il desiderio si rivolge in incubo, con la dolcezza di un bacio.
Poco oltre è
Sans titre (L’arbre et son ombre)) a stimolare riflessioni ungarettiane, una traduzione visiva del suo celebre verso “
si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, usando un modellino d’albero spoglio e ombre cinesi di rami carichi di foglie che cadono in un loop senza sosta: un lavoro minuzioso e quasi maniacale. Come lo sono anche
Jardin Nomade o
Plastikcity 19, rispettivamente un tappeto orientale animato da buffi omini neri e un castello di taniche di plastica popolato da minuscole persone. Rousseau usa la videoproiezione come un gioco di prestigio.
Nelle fotografie, in
Sans titre (Bulle) espone un sub arenato e ricoperto da taniche di plastica, un grido ecologico; in
Douceur marocaine invece panorami austeri ospitano il modellino in pietra di un’abitazione signorile marocchina, ottenendo un vedutismo ilare venato di malinconia, così come accade nella serie
Casei 842, biscotti bruciacchiati e forati, fotografati come inospitali lune o pianeti.
Quella di Rousseau si profila come un’arte dalla “gravità senza peso”, definita da Calvino come la “
speciale connessione tra melanconia e umorismo”.