Nato in Germania da una famiglia di artisti emigrata in Inghilterra nel 1868, il sogno iniziale di
Walter Sickert (Monaco di Baviera, 1860 – Bathampton, 1942) era il teatro. Abbandonato il palcoscenico per trasformare in professione la sua giovanile passione per la pittura, nel 1881 Sickert entra alla Slade School of Fine Art di Londra, abbandonandola pochi mesi dopo per diventare allievo e assistente di
James McNeill Whistler. Che nel 1883 lo presenta a
Edgar Degas.
Da quest’ultimo Sickert apprende a dipingere in studio da disegni, fotografie e ricordi, oltre che dal vero. L’esempio di Degas lo incoraggia a sfuggire alla “
tirannia della natura” e a espandere il campo dei suoi soggetti, rendendoli visualmente accattivanti con ardite composizioni di scorcio. Il mondo a cui Degas introduce Sickert, fatto di fumosi caffè, teatri, ballerine e corse di cavalli, e che quest’ultimo porta in Inghilterra, piace alle avanguardie ma sconvolge i critici più conservatori.
Erano anni difficili, quelli, dominati dal processo a Oscar Wilde e caratterizzati da una forte reazione verso qualunque forma artistica sperimentale. In cerca di successo, Sickert abbandona Londra, per tornarvi solo nel 1905. La transizione fra le luminose spiagge di Dieppe, dove si trasferisce nell’inverno del 1898, e il realismo del Camden Town Group, il gruppo artistico londinese di matrice post-impressionista, avviene tramite i brumosi paesaggi degli umidi inverni veneziani. E a questo periodo di transizione è dedicata la mostra della Dulwich Picture Gallery.
Il 1885 è un anno importante per Walter Sickert. Profondamente colpito dalle versioni della
Cattedrale di Rouen di
Claude Monet viste a Parigi, decide di realizzare qualcosa di simile. E, per la sua prima volta a Venezia, sceglie di dipingere scenari popolari che avrebbero venduto bene tra il pubblico. E cos’era più accattivante della facciata di San Marco, che si erge potente dal centro della piazza?
Tuttavia, diversamente da quelle di Monet, le architetture di Sickert non sono solo la registrazione di un momentaneo effetto di luce, ma un termometro del suo umore. E la bellezza lirica di notturni come
The Dogana and Santa Maria della Salute (1896) trasuda contenuta emozione. Tornato a Venezia una seconda volta tra il 1900 e il 1901, Sickert riformula la propria tecnica. Nelle vedute della città dipinte in quegli anni (tra cui numerose versioni della Chiesa di Santa Maria della Salute) sposta l’accento sul disegno libero, sui contrasti tonali e su un colore applicato con pennellate più larghe e dense, come in
The Rialto Bridge (1901).
Costretto dal terribile inverno del 1903-04 a restare in casa, Sickert – alla sua terza visita a Venezia – trasferisce l’attenzione dal paesaggio alla figura umana. È la svolta tanto attesa. Influenzato da Degas e da
Toulouse-Lautrec, e affascinato dal proletariato, che reputa più autentico delle classi abbienti, Sickert comincia a dipingere interni bui, popolati da sfuggenti figure di donne – prostitute, cameriere, ostesse – rese con un impasto pesante e con una tavolozza limitata, che attira l’oservatore in un mondo di quotidiana, animalesca sensualità, tipico del successivo Camden Town Group.
In
The Women on a Sofa – Le Tose (1903), le figure di due donne sedute su un divano, appoggiate l’una all’altra, sembrano disegnate direttamente sulla tela con grandi campiture di colore, steso in modo compendiario, a mostrare la trama sottostante in un effetto di grande spontaneità.
Diventato membro della Royal Academy nel ‘34, Sickert deve scegliere un dipinto da esibire alla cerimonia. E la preferenza cade non su uno dei famosi nudi di Camden Town, ma su una luminosa veduta di Santa Maria della Salute, dipinta a Venezia nel 1901. Perché quello è il luogo in cui Sickert ha trovato se stesso.