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Fino al 31.V.2015 | David Bowie is | Philharmonie de Paris, Parigi

di - 28 Aprile 2015
Otre 300 oggetti tra manoscritti, costumi originali, foto, film, video, scenografie e strumenti musicali per parlare del pioniere della musica pop oltre che icona del mondo della cultura moderna, ovvero David Robert Jones, alias David Bowie (1947, Londra). “David Bowie is”, la prima retrospettiva organizzata su questa star indiscussa, approda a Parigi presso la Philharmonie de Paris fino al 31 maggio, con tutto ma proprio tutto sul cantante, compositore, polistrumentista, produttore e attore britannico. Ricordiamo che ha indossato tutti i generi musicali dal glam rock, al funk, alla disco, alla soul e alla musica elettronica, oltre ad aver saputo mettersi in scena facendo del proprio corpo uno spettacolo, attraverso costumi di scena stravaganti, provocatori e a dir poco originali. E così all’ingresso della mostra troviamo il magnifico costume disegnato da Kansai Yamamoto per l’Aladdin Sane tour (1973), ispirato al teatro Kabuki, ma anche il costume del suo alter ego Ziggy Stardust, primo personaggio di scena creato dall’artista, il cui costume è stato disegnato da Freddie Burretti per il Ziggy Stardust tour (1972) o quello del videoclip di Life on Mars? (1972), in cui Ziggy, calato in uno scenario completamente bianco, sembra incarnare una visione turchese dell’avvenire. Ma la forza scenica Bowie la costruisce anche attraverso il trucco e il gesto teatrale, per i quali s’ispira direttamente da Lindsay Kemp, noto mimo-ballerino della scena inglese avanguardista. Insomma, una vera esperienza visiva e sonora realizzata con la Sennheiser, questa mostra concepita dal Victoria and Albert Museum nel 2013, ha già fatto il giro del mondo ottenendo un notevole successo, forse scontato data la notorietà del personaggio, ma il merito sta anche nella ricchezza della documentazione e nelle innumerevoli chicche che aprono una vera e propria caccia al tesoro, allettante anche per i fan più esperti, che qui rischiano di trovarne delle belle.

Scopriamo lettere, appunti scritti a mano, libri cult ma anche il Verbasizer, un software che genera ispirazione, ideato dallo stesso Bowie insieme a Ty Roberts, verso il 1995  Questo programma permette di registrare delle frasi e di costruirne altre a casaccio, parte di un processo creativo simile al cadavere squisito inventato dai surrealisti, questo restituisce combinazioni di parole che non mancano di originalità, ed è così che l’artista ha creato i testi delle sue canzoni. Ma già negli anni ’70 Bowie era affascinato dall’imprevisto quale fonte di creatività che apre nuove prospettive alla scrittura, e così per creare canzoni utilizza una tecnica di scrittura sperimentale, quella del cut-up.
La mostra, che copre i suoi 50 anni di vita artistica, si sviluppa su arcinote e bellissime melodie, per ognuna delle quali troviamo i costumi di scena, i testi scritti a mano, i videoclip e quant’altro, tra queste Space Oddity (1969), omaggio al film 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, secondo album di Bowie, sarà quello che lo lancerà, ma c’è anche Absolute Beginners (1986), scritta per l’omonimo film di Julien Temple, nel quale Bowie fa parte del cast, qui calato nell’universo giovanile londinese degli anni ’60 tra jazz-club e lotte razziali. Da grande artista eclettico che è, lo ritroviamo anche nei panni di Andy Warhol nel film Basquiat (1996), realizzato da Julian Schnabel. Mentre tra le collaborazioni ricordiamo quelle con l’artista statunitense Tony Oursler, nel 1997 e nel 2013 per i videoclip Little Wonder e When are We Now?, qui presenti bambole di pezza di Oursler su cui viene proiettata la faccia di Bowie, queste sono state fabbricate per il concerto del 50esimo anniversario del cantante a New York. Ma il tocco finale lo danno i suoi dipinti, tra questi: Head of Mishima (1977), ritratto dello scrittore giapponese Yukio Mishima, e Head of J.O. (1976), un ritratto di James Osterberg alias Iggy Pop. Veniamo così a scoprire che l’artista inglese negli anni ’70 si è particolarmente interessato al lavoro del pittore Erich Heckel, uno dei fondatori del gruppo tedesco Die Brücke, del quale considerava le xilografie “pure e spoglie di ogni superficialità”, ne ritroviamo le tracce nella copertina dell’album Heroes (1977). Una mostra irrinunciabile! Unica pecca: manca una pista da ballo.

Livia De Leoni
Dal 3 marzo al 31 maggio 2015
David Bowie is
Philharmonie de Paris
221, avenue Jean-Jaurès
75019 Paris
Orari: martedì: 12-18, mercoledì e giovedì: 12-20, venerdì e sabato: 10-22, domenica: 10-20
Info: http://davidbowieis.philharmoniedeparis.fr/

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