La tredicesima edizione della Mostra Internazionale di Scultura di Bratislava, coordinata da Viktor Hulik, anima il centro della capitale slovacca in luoghi espositivi canonici e alternativi. È a Palazzo Mirbac che s’incontra la sezione italiana, curata da Lia De Venere e intitolata
Italian Lights.
La docente all’Accademia di Bari, in contemporanea, promuove dodici promettenti allievi provenienti dall’istituzione pugliese –
Elisabetta Antonacci,
Danilo Babbo,
Mariantonietta Bagliato,
Lea Caputo,
Agata Difino,
Claudia Giordano, Annamaria Ippolito,
Pierpaolo Miccolis,
Michele Mongelli,
Giuseppe Pansa,
Margherita Ragno,
Teresa Romano– nelle due sezioni di
Ad est – Dall’Adriatico al Danubio presso la Galleria Goza e all’Akádemia Umení di Banská Bystrica. Ad accogliere il visitatore, lo zerbino con la dicitura
No entry di
Annamaria Ippolito: un divertente azzardo averlo posto all’ingresso di una mostra, peraltro gradevole se non addirittura estetizzante, dove pittura e fotografia rivelano identità abbastanza mature più che in corso di formazione.
Per l’evento di scultura, invece, nomi affermati: tra le opere di 67 artisti di ventidue nazioni europee, i quattro italiani spiccano con un progetto “leggero”, incentrato sul tema della luce artificiale. Quindi, se scultura vuol dire materia, qui la si nega per la scelta del medium immateriale per eccellenza, declinato in interventi multidisciplinari.
Particolarmente suggestivo lo “spazio permeabile” in fibra ottica del viterbese
Carlo Bernardini, idea già apprezzata in Puglia, installata a contrasto con l’antica pietra di Trani che, come un utero postmoderno, accoglieva questi “lumino-sistemi”. Per
Italian lights, le sottili strutture fluorescenti giocano sull’ambiguità da illusione ottica, spazio virtuale e spazio reale, praticabile e attraversabile; un’installazione minimale che ha l’apprezzabile prerogativa della versatilità.
E sempre fili tende il cremonese
Filippo Centenari, con un’allusione a tradizioni popolari meridionali: si prestano a reggere -come panni stesi, appunto- lo scorrere del quotidiano salernitano; sono immagini che, decontestualizzate grazie a una manipolazione dei piani di proiezione, ne rendono irriconoscibile la location e accentuano lo straniamento spazio-temporale.
“
Curiosità, stupore, disciplina, paradosso, leggerezza” sono le parole preferite dal milanese
Carlo Steiner, che colloca a parete cinque stemmi-stufe in ceramica refrattaria, dall’appeal decisamente decorativo.
Paradosso non troppo velato -e analogia con le “fiammeggianti” trovate del pugliese
Giovanni Albanese– è quello del barese
Giuseppe Teofilo, che racchiude lampadine in bottiglie, disposte a raggiera nella penombra; la curatrice si chiede come sia entrata la lampadina nella bottiglia, per quanto tempo rimarrà accesa, chi ne decifrerà il messaggio racchiuso, ritenendo le probabili risposte inutili ai fini dell’arte. Tuttavia, meno ai fìni della vita sociale: è, infatti, una problematica universale la crisi energetica, allusione che rende la pur elementare trovata un triste monito, specie per le giovani generazioni, “target” e protagonisti di questo progetto in trasferta transnazionale.