La campagna di Napoleone in Egitto nel 1798 non si limitò a ispirare lo Stile Impero; diede inizio all’età dell’oro dell’Orientalismo. Il dibattito su quest’ultimo, inteso come la rappresentazione dell’est nell’arte e nella letteratura occidentale, è ai giorni nostri di grande attualità .
Un tema a cui la Tate Britain prende parte, organizzando la prima mostra che esplora il genere della pittura orientalista in Gran Bretagna,
The Lure of the East: British Orientalist Painting. Centodieci dipinti e acquerelli provenienti da collezioni di tutto il mondo offrono un’esaustiva panoramica dell’interesse dell’epoca per paesaggi, monumenti, città e popoli del bacino del Mediterraneo: dai ritratti di gentiluomini e gentildonne nel costume locale della prima sala alla più sobria visione dell’est degli artisti del XX secolo dell’ultima. Ad accompagnare i dipinti, il commento di numerosi intellettuali dell’est e dell’ovest.
Sebbene giĂ prima di Napoleone
Gentile Bellini e
Paolo Veronese avessero dipinto soggetti di sapore orientalista, l’Orientalismo propriamente detto è un fenomeno del XIX secolo. Mossi dal fascino per l’esotico tipico del Romanticismo, isolati avventurieri come il poeta Byron (ritratto nel 1814 da
Thomas Phillips nel
suliot, il costume dei soldati greco-albanesi),
una volta raggiunta l’Italia, proseguivano il Grand Tour estendendolo alle regioni balcaniche, allora dominate dall’Impero Ottomano.
Se i viaggiatori indipendenti erano rari prima del 1830, il coinvolgimento politico dell’Europa nelle campagne militari in Grecia (1821-29) e in Crimea (1853-56) e il miglioramento dei trasporti dovuto all’invenzione della macchina vapore vide aumentare la presenza di artisti occidentali in Medio Oriente.
Frederick Leighton e
William Holman Hunt, pronti a sfruttare la crescente domanda del mercato britannico, dipingono paesaggi punteggiati da chiese e moschee, scene di storia locale e di vita quotidiana da cui non mancano il bazar e l’harem, quest’ultimo particolarmente caro al gusto puritano dell’Inghilterra vittoriana.
Le (poche) donne viaggiatrici dell’epoca che, a differenza degli uomini, erano ammesse all’harem, lo avevano descritto come un luogo puramente domestico. Tuttavia, nelle menti di contemporanei -influenzate dalle sensuali odalische di
Ingres– l’harem continuava a essere un luogo di eccessi sessuali, in cui donne bellissime si muovevano nella luce soffusa filtrata da pareti sottili come ricami.
Le rilassate atmosfere del bazar e la vita dell’harem, intesi come spazi di associazione rispettivamente maschili e femminili, sono temi frequenti negli acquerelli-documentario di
John Frederick Lewis, che tanto influenzarono il gusto orientalista al punto da ispirarare la costruzione di sontuose sale come la Arab Hall di Leighton House a Londra.
Tuttavia è arduo prendere seriamente il Visconte Castlereagh, dipinto con ironica leggerezza da Lewis nei panni di uno sceicco in
A Frank Encampment in the Desert of Mount Sinai (1842). Disteso sotto una tenda, circondato da cani da caccia, tazzine di porcellana, libri e giornali inglesi, pare non aver mai lasciato la sua residenza di campagna nel Surrey.
L’attenzione al dettaglio dei pittori orientalisti non ha mai preteso di essere un documento di antropologia sociale. Più simile al reportage fotografico che a un’esaltazione del colonialismo britannico, i dipinti di
The Lure of the East documentano il fascino e la curiositĂ esercitata sul mondo occidentale da un Medio Oriente ancora semi-sconosciuto.