Kunst über den Dächern von Linz, cioè “arte sopra i tetti di Linz”. Il sottotitolo dice già molto di una collocazione stravagante e con l’implicita promessa d’imprevisti. Si salta da palazzo a palazzo e di tetto in tetto, seguendo un percorso d’alta quota che dà luogo a una percezione straniante delle cose. Quindi le opere – una venticinquina, consistenti in installazioni, video, assemblaggi, foto e altro -, essendo quasi tutte volte a stimolare stati di alterazione psico-fisica, sono in grado di amplificare lo straniamento e, conseguentemente, di tenere il pubblico sul filo dell’ansia e della vertigine fin dai primi passi del percorso. Sensazione di vuoto, sfondo sterminato. “Ebbrezza d’altitudine”,
Höhenrausch appunto.
Sul tetto piatto del primo edificio, organizzato come un parco-giochi, la condizione è perfetta per esser subito accolti in una postazione video in cui si trasmettono in sequenza le scene iniziali di cinque film di genere thrilling dove la morte viene dall’alto. Non poteva mancare
Vertigo di
Hitchcock, in cui un James Stewart in abiti eleganti è disperatamente aggrappato alla grondaia pericolante di un tetto tremendamente gotico, mentre un poliziotto, per tentare di salvarlo, scivola e si schianta sull’asfalto dopo un volo interminabile, con tanto di urlo che squarcia il silenzio della notte. Che ci facevano lassù? Non è dato saperlo, perché l’artista
Pierre Bismuth taglia i film subito dopo il primo morto, meglio ancora se ammazzato.
Seguendo il
fil rouge espositivo, bisogna fare i conti anche con un’infida prova d’iniziazione. È la sequenza video interminabile di uno skateboarder con handicap totale alle gambe, che è costretto a scivolare stando in equilibrio sulle braccia e in verticale. L’autore è
Shaun Gladwell. Il fatto è che la scena viene proiettata in lieve ralenti e capovolta. Dopo alcuni minuti di visione si esce dalla saletta inevitabilmente colpiti da labirintite. Quindi, barcollando, si va verso la prova più sperimentale.
Non è obbligatoria, e in effetti il tempo d’attesa, data la quantità dei volontari, è pari a zero secondi. Via su una ruota panoramica da Luna Park, bella alta, un diametro di venticinque metri, con le cabinette aperte e oscillanti, e posizionata quasi al margine del tetto. Come se non bastasse, viene fatta girare ad andatura accelerata. Checché se ne dica, in quest’installazione c’è dell’ironia: per esempio,
Maider López, l’artista a cui si lega l’opera, è intervenuto solo a ridipingere la ruota. Il resto è uscito dalla fantasia dei cinici curatori, ma a fin di bene: offrire un’esclusivissima vista di questa capitale della cultura. Privilegio di pochi, senza dubbio.
Imperdibile, poi, la proiezione su grande schermo di
Erwin Wurm. Una realistica quanto incongrua – inutile dirlo – salita e posteggio di un’automobile sulla facciata perfettamente verticale di un palazzo, mentre a bordo si filosofeggia sull’impossibilità che il mondo abbia una sua realtà oggettiva, perché è solo l’uomo la misura delle cose.
Transitando nei meandri di antiche soffitte, ci s’imbatte in un video di
Pipilotti Rist, proiettato verso il telaio di una finestra. Ma nulla è come appare. La finestra non esiste, è solo l’illusione della proiezione a creare uno sfondo di cielo azzurro, con l’artista che dall’esterno schiaccia contro il vetro il suo volto, deformandolo impietosamente.
Ciò accade quasi al termine del percorso, così che questa strana mostra lascia il visitatore con lo stordimento di un viaggio allucinatorio.