La personale albigese è in parte prodotta nell’ambito del festival Le Printemps de septembre, che si tiene principalmente a Tolosa. Per il resto, si tratta di un solo show fortemente voluto dalla frizzante Jackie-Ruth Meyer, direttrice nonché animatrice de Le LAIT – Laboratoire Artistique International du Tarn (per inciso, si noti come il fascino degli acronimi evocativi non appartenga soltanto al territorio italiano).
Si diceva della brutalità con la quale Albarracín affronta alcuni nodi capitali, ontologici dell’essere umano. Nel suo rapporto con l’animale, innanzitutto, nel video che la vede protagonista di un pasto condiviso con una Lupa (2006); pasto bestiale, violento, sanguinoso, distante anni luce dalle movenze circospette che contraddistinguevano Beuys e il coyote di I like America and America likes me. E se già qui si nota la riflessione (sulla questione) di genere – tema che torna prepotentemente nell’installazione composta da pavoni e pavonesse in tassidermia, con le “ruote” dei primi innestate sui corpi delle seconde – , questa è palese e palesata nel secondo video del trittico albigese, Tortilla a la española (1999), dove il tipico piatto iberico diviene l’icona, il prototipo di una domesticità vissuta con rabbia e frustrazione; l’artista non dà adito a dubbi, poiché condisce la frittata con brandelli del suo vestito rosso sangue, sforbiciato direttamente dal corpo a cui aderisce. Infine, con La cabra (2001) si torna al sangue, copioso, quello dell’animale del titolo, divenuto oramai otre, recipiente cadaverico di liquido vitale che si sparge sul corpo e sulla veste cerimoniosa di una Albarracín che danza freneticamente, sessualmente eccitata, avvinghiata alla pelle viscida del cadavere.
Si potrebbe leggere tutta la sua opera come una denuncia – o forse un richiamo assai più “neutrale” – d’una tradizione, quella spagnola, attraversata da rituali particolarmente violenti, odiosi e oltraggiosi nei confronti degli animali. Denuncia o richiamo che, con la sua ironia selvaggia e sapientemente ottusa, giunge al suo apice nel video che dà il titolo alla mostra, Fabulations, e nella locandina della stessa, che ritrae l’artista in bilico sul costato d’un asino docilmente sdraiato in terra.
E che torna, con un piglio più decisamente orientato alla tradizione dell’antropomorfizzazione di vizi e virtù umane – ancora l’animale come strumento -, in due grandi installazioni: l’una che vede protagonista ancora un asino, innaturalmente seduto su una montagna di libri e intento a leggere; l’altra che ha il suo perno in una quasi-invisibile formica, preda e vittima della sua stessa alacrità, e dunque destinata a soccombere sotto il peso delle decine di sacchi che porta sul dorso.
Ricontestualizzando la rassegna di Albi nell’ambito del festival tolosano, salta all’occhio la distanza che separa il lavoro di Pilar Albarracín da quello di Dora García – quest’ultima ospitata al bbb – Centre Régional Art Contemporain e rappresentante della Spagna alla prossima Biennale di Venezia -, più sottile, concettuale, a tratti concettoso. Verrebbe da dire, utilizzando un aggettivo assai poco “corretto”, che al confronto Albarracín è parecchio più maschia.
Pilar Albarracín alla Biennale di Venezia del 2005
Il festival tolosano nell’edizione 2010
marco enrico giacomelli
mostra visitata il 26 settembre 2010
dal 5 giugno al 31 ottobre 2010
Pilar Albarracín – Fabulations
a cura di Jackie-Ruth Meyer
Centre d’art le LAIT – Moulins Albigeois
41, rue Porta – 81000 Albi
Orario: da mercoledì a domenica ore 14-19
Ingresso: € 3
Catalogo disponibile
Info: tel. +33 0563383591; centredart@centredartlelait.com; www.centredartlelait.com
[exibart]
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