Per
Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945; vive a Barjac) l’uomo dell’Occidente ha vissuto la natura come il campo d’azione delle forze incontenibili di inquiete divinità. Il mondo è questo luogo di frontiera, dove s’incrociano le diverse culture e le diverse anime dell’Europa: quella araba e quella ebraica; quella tedesca, divisa dal muro e dagli anni della guerra fredda, quella epica e romantica della tradizione letteraria per la quale la natura è il moto inarrestabile di forze oscure, in cui fermenta il male e la dissoluzione. Astronomia, cabala, alchimia fanno parte di un mondo di corrispondenze che ritornano frequenti nella sua opera, implicando i differenti significati simbolici dei suoi principali riferimenti culturali. L’artista deve fare i conti con i demoni del passato tedesco, con la rovina e il vuoto del dopoguerra, e il conseguente senso di lacerazione e perdita. Nella feroce disanima dei frammenti del passato, inserisce anche materialmente all’interno delle opere le “cose” del presente: oro, argento, metallo, resina, olio, semi, capelli. Materia organica che entra a far parte della stesura pittorica, strato dopo strato.
Sulla parete dell’Escalier nord della Colonnade, opera del XIX secolo degli architetti
Percier e
Fontaine, l’artista dà vita a un intervento pittorico di proporzioni monumentali.
Athanor è la rappresentazione di un inviolato cielo cosmico, sotto il quale giace un uomo nudo, con gli occhi chiusi, morto o forse dormiente, sicuramente muto e sovrastato dallo smisurato vuoto della notte. Ancora in debito con la cultura romantica e la sua eredità, per Kiefer l’uomo si pone di fronte al mistero del mondo, all’enigma del sapere, al suo luogo e al senso del suo essere sulla Terra.
L’arte, secondo Platone, non ha la capacità di andare oltre le cose; è inganno, ombra di un’ombra. Questa è la grande sfida: dimostrare che l’arte va oltre,
che le immagini fugaci delle cose sono l’orizzonte in cui s’intreccia la nostra vicenda. Accanto ai fatti della storia, le immagini dell’arte resistono nella loro precarietà, come se proprio questo fosse il segno più prezioso e sicuro dell’esistenza.
La figura mitologica di
Danae, amata dal dio tramutatosi in pioggia d’oro, si presta al titolo di una delle due sculture collocate nelle nicchie all’estremità della scala. La forma è plasmata nel piombo, il metallo più pesante e duttile, ma è ricoperta da tante gocce d’oro, il metallo eterno, il fine ultimo dell’opera alchemica. Sui libri di piombo svetta un girasole, una forma semplice, naturale ma ingigantita tanto da rappresentare l’incongruo, l’assurdo surrealista, una sorta di racconto morale sulla relatività delle grandi idee e dei grandi miti dell’Europa.
Il caso di Kiefer è paradigmatico: è realmente il più “europeo” degli artisti viventi e sintetizza in modo esemplare le angosce e la crisi dell’arte moderna con una vena distintiva di malinconia. Per celebrare l’inaugurazione dell’installazione, il museo ha organizzato una serie di eventi collegati: conferenze, letture, spettacoli di danza, musica e percorsi tematici all’interno del museo. Il tutto all’insegna del concetto di attraversamento delle
Frontiere. Un concetto che per l’artista è alla base, se non l’origine stessa del suo lavoro.