Londra 1992, Parigi 2008: è nel segno della continuità qualitativa con la grande mostra dedicatagli dalla National Gallery poco più di quindici anni fa che Dominique Thiébaut, conservatrice del Louvre, e Giovanni Agosti, professore di Storia dell’arte moderna alla Statale di Milano, iscrivono la rassegna aperta a Parigi su
Andrea Mantegna (Piazzola sul Brenta, Padova, 1431 – Mantova, 1506). Per le ben note ragioni conservative che ne impediscono lo spostamento, non è presente in mostra il
Cristo morto della Pinacoteca di Brera, ma all’incirca duecento opere permettono di ritracciare, secondo un percorso cronologico, l’intera carriera dell’artista.
Mostra monografica, percorso cronologico: una semplicità solo in apparenza non mediata dai commissari, che garantisce una lettura chiara della ricchezza espressiva e del talento pittorico di Mantegna. New York, Cincinnati, Dresda, Ferrara, Firenze, tante le città che hanno prestato i dipinti e che completano il già numeroso gruppo di opere del pittore italiano conservate in Francia, tra le quali spiccano ovviamente il
San Sebastiano – già a Aigueperse, in Auvergne, e oggi al Louvre – e i dipinti per lo studiolo di Isabella d’Este.
Eppure basterebbe segnalare l’eccezionalità del prestito concesso dalle Regina Elisabetta II di uno dei sette
Trionfi di Cesare per comprendere l’importanza del lavoro e delle ricerche svolte dai due curatori.
Il dipinto in questione, infatti, acquistato assieme agli altri della stessa serie da Carlo I per le collezioni reali inglesi nel 1631, non è praticamente mai uscito da Hampton Court.
A differenza quindi delle mostre-evento organizzate a Padova, Mantova e Verona, sotto l’egida di Vittorio Sgarbi, per celebrare il cinquecentenario della morte di Mantegna, che di fatto e nonostante il titolo poco o nulla di nuovo dicevano sull’artista, a Parigi è una visione rinnovata che il visitatore è invitato a scoprire, in una mostra che fornisce anche nuove attribuzioni e convincenti chiavi di lettura.
La sua formazione nella bottega padovana di
Francesco Squarcione, il suo legame non solo artistico con
Giovanni Bellini – Mantegna sposa Nicolosia, sorella dello stesso Giovanni e di
Gentile Bellini -, la sua lunga permanenza alla corte estense non prendono però il sopravvento come in passato sulla sua produzione più tardiva. Come testimoniano opere come l’
Ecce Homo stupendamente conservato dal Musée Jacquemart-André di Parigi, una delle più belle scoperte di questa mostra è proprio questa costante fedeltà ai paradigmi stilistici della sua gioventù. Mantegna resiste e persevera noncurante della maniera moderna, di
Raffaello Sanzio e
Michelangelo Buonarroti, della seducente delicatezza di
Leonardo da Vinci. Il suo realismo severo non cede il passo né ai suoi committenti, né al sorgere di nuovi stili.
Nel 1992, in occasione della mostra londinese, Lawrence Gowing scriveva che in Mantegna “
non esiste pietà. Il più implacabile supplizio non dà adito nei suoi dipinti a nessuna speranza di salvezza”. In maniera convincente è invece presentato a Parigi un artista profondamente umano e legato alla bellezza del dettaglio naturale. Spetta ormai al visitatore la scelta se lasciarsi sedurre o meno da questo rinnovata visione di quello che il cardinal d’Amboise definiva senza esitazioni “
il primo pictore del mondo”.