La prima impressione è quella di affacciarsi su un palcoscenico. Il lavoro di
Lothar Hempel (Colonia, 1966) è divertente e inaspettato. Un’atmosfera carnevalesca anima lo spazio più grande (e buio) della galleria ospitata all’interno del Trinity College.
I testi che solitamente accompagnano le esposizioni di Hempel sono come pagine di un diario che rivelano dubbi sui recenti processi creativi. Quello che invece accompagna questa personale è più simile a un copione: “
White light on the stage. Casanova recounts…”. Ci troviamo in una piazza al centro di una città. Laddove tutti gli sguardi degli abitanti convergono, si formano cristalli. Queste formazioni mostruose e spaventose brillano per essere viste da tutti, ma presto si spengono, si sciolgono e scompaiono nel suolo per far posto a nuovi cristalli.
Il rapporto dell’artista con il teatro, la danza e il cinema è vitale per comprenderne le opere. Nell’aprile dello scorso anno, intitolando
Effetti Speciali la personale berlinese, Hempel aveva già trovato il modo giusto per descrivere ciò che costruisce. Estratte dai credit del
Casanova di
Federico Fellini, le parole “effetti speciali” comunicano infatti qualcosa di molto più affine all’abilità, alla perizia del maestro che non gli
special effect americani. Le opere dell’artista tedesco hanno un innato manierismo, così come le ambientazioni del film del regista italiano sono barocche, a volte grottesche nella loro artificialità. Scene e situazioni hanno poco a che fare con la realtà sia nell’opera di Fellini che di Hempel.
Nel ‘76 Fellini aveva ritratto Casanova non solo come l’avventuriero depravato ma come l’uomo incapace di amare. Sembra che solo verso la fine delle riprese il regista abbia simpatizzato con il personaggio, decidendo di accentuarne il carattere onirico. Le opere di Hempel, come egli stesso ha dichiarato, hanno la stessa qualità dei sogni. Sono situazioni che non hanno un inizio né una fine e che si aprono a molteplici interpretazioni.
In
Casanova (2007) il protagonista è circondato da eleganti figure di danzatrici. Questi ultimi rappresentano un controllo della creatività esercitato con il corpo. Elementi liberi nello spazio (la pelliccia e i cubi metallici dorati) si aggiungono alle due dimensioni delle sottili silhouette, mentre colori e luci interferiscono con il bianco e nero delle fotografie (il protagonista ha al posto della testa un cristallo e nella zona genitale una lampadina).
Pur trovandoci di fronte a installazioni che l’autore ha disposto lontano dalle pareti affinché il visitatore ci giri intorno, queste sembrano rifiutare una lettura in tre dimensioni e talvolta letteralmente collassare nella visione posteriore (è questo soprattutto il caso di
Rust, 2008). L’unica eccezione sembra essere
A Horrible Scar Emerges (2008), che nasconde la foto di un’attrice che si strucca. Questa, come tutte le altre fotografie che l’artista ha utilizzato, sono state ricavate da libri di teatro degli anni ’30, fra cui
Bejart By Bejart, inserito alla base di
Give and Take (2008).
Hempel ama le contraddizioni. Usa nei titoli parole che contraddicono i materiali, e materiali -la carta piegata a formare un fiore in
Will You Ever Grow Up? (2007) o il giocattolo proveniente da Bali in
Encounter in the Night (2007)- che confondono lo spettatore. A volte il contrasto fra materiali naturali e artificiali, come nel caso di
Will You Ever Grow Up?, dove l’artista ha inserito anche una pianta, trasmette ansia e inquietudine. Ma sempre le sue “
macchine narrative” meravigliano e divertono per la ricchezza di riferimenti visivi.