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22
novembre 2007
fino al 6.IV.2008 Doris Salcedo London, Tate Modern
around
Una crepa divarica il pavimento della Turbine Hall. Non è un terremoto, né un atto terrostico. È la scossa dell’arte contemporanea a intaccare uno degli edifici simbolo della ricostruzione post-bellica...
Qual è l’origine della discrepanza, della separazione, del razzismo? Potrebbe essere questa la domanda che si pongono i visitatori, armati di macchina fotografica, mentre percorrono la grande sala, seguendo a testa bassa le anse della lunga e profonda spaccatura che costituisce la nuova installazione di Doris Salcedo (Bogotà, 1958).
Il solco sul pavimento taglia la hall nella sua lunghezza. Inizia come un sottile tratto di rottura, una incrinatura appena visibile, poi sembra essersi aperta quasi come naturale conseguenza, come potrebbe avvenire per una scossa tellurica che apre una nuova faglia sulla crosta terrestre. Shibboleth è il titolo di questo lavoro. Indica per estensione una parola o un’espressione difficile da pronunciare per uno straniero, usata come test per capire la provenienza di chi la proferisce. In senso proprio, secondo il libro dei Giudici, la parola ebraica fu usata come prova alla quale si doveva sottoporre chiunque volesse passare il Giordano dopo la battaglia fra Galaaditi ed Efraimiti. Questi ultimi avevano sviluppato un repertorio fonico che non comprendeva il suono “sc”. Così, al momento di pronunciare “shibboleth”, venivano riconosciuti, catturati e uccisi.
La lingua, quindi, come confine sul confine. Barriera più invalicabile e divisione più profonda di un fiume, di un muro di cinta o di qualunque altro ostacolo fisico. Non molto diversamente da oggi, forse. Ed è doppiamente significativo che il luogo scelto da Salcedo per l’installazione sia Londra, non solo multirazziale e cosmopolita capitale britannica con un passato coloniale rinnegato, ma anche “fonte” dell’idioma che tutti gli abitanti del mondo “moderno” sono costretti a conoscere per far parte del business globale e, tutto sommato, per essere inclusi nel flusso della modernità stessa. L’artista cita così le difficoltà che incontrano gli abitanti di molte altre parti del mondo, a partire dalla sua Colombia. In altre parole, la semplicità con cui si può restare fuori dal gioco e dal movimento della modernità che molti extra-europei provano è una delle questioni che l’artista si propone di denunciare con questo lavoro. Il concetto di modernità, dice Salcedo, è talmente stretto e descrive uno stereotipo così rigido che chi ne è compreso rischia di essere escluso dal genere umano. La linea tracciata sul pavimento della Tate -linea che, di fatto, divide la sala- ricorda tutte le distanze che creiamo, come occidentali e padroni-gestori della modernità. Non è stata quindi la natura a scavare questo solco profondo; non è responsabile di questa e di tutte le differenze e separazioni.
Un atto violento, di forza, è stato compiuto per simboleggiarne altri. Salcedo spezza il pavimento di un edificio costruito nel 1947 e adibito a centrale elettrica, simbolo e motore della ricostruzione e della modernizzazione della città nel dopoguerra. Ed è di sicuro impatto vedere un fabbricato così saldo e stabile intaccato nelle sue “fondamenta”. Colpi inferti, però, a seguito di un pensiero artistico e, prima ancora, sociale.
Il solco sul pavimento taglia la hall nella sua lunghezza. Inizia come un sottile tratto di rottura, una incrinatura appena visibile, poi sembra essersi aperta quasi come naturale conseguenza, come potrebbe avvenire per una scossa tellurica che apre una nuova faglia sulla crosta terrestre. Shibboleth è il titolo di questo lavoro. Indica per estensione una parola o un’espressione difficile da pronunciare per uno straniero, usata come test per capire la provenienza di chi la proferisce. In senso proprio, secondo il libro dei Giudici, la parola ebraica fu usata come prova alla quale si doveva sottoporre chiunque volesse passare il Giordano dopo la battaglia fra Galaaditi ed Efraimiti. Questi ultimi avevano sviluppato un repertorio fonico che non comprendeva il suono “sc”. Così, al momento di pronunciare “shibboleth”, venivano riconosciuti, catturati e uccisi.
La lingua, quindi, come confine sul confine. Barriera più invalicabile e divisione più profonda di un fiume, di un muro di cinta o di qualunque altro ostacolo fisico. Non molto diversamente da oggi, forse. Ed è doppiamente significativo che il luogo scelto da Salcedo per l’installazione sia Londra, non solo multirazziale e cosmopolita capitale britannica con un passato coloniale rinnegato, ma anche “fonte” dell’idioma che tutti gli abitanti del mondo “moderno” sono costretti a conoscere per far parte del business globale e, tutto sommato, per essere inclusi nel flusso della modernità stessa. L’artista cita così le difficoltà che incontrano gli abitanti di molte altre parti del mondo, a partire dalla sua Colombia. In altre parole, la semplicità con cui si può restare fuori dal gioco e dal movimento della modernità che molti extra-europei provano è una delle questioni che l’artista si propone di denunciare con questo lavoro. Il concetto di modernità, dice Salcedo, è talmente stretto e descrive uno stereotipo così rigido che chi ne è compreso rischia di essere escluso dal genere umano. La linea tracciata sul pavimento della Tate -linea che, di fatto, divide la sala- ricorda tutte le distanze che creiamo, come occidentali e padroni-gestori della modernità. Non è stata quindi la natura a scavare questo solco profondo; non è responsabile di questa e di tutte le differenze e separazioni.
Un atto violento, di forza, è stato compiuto per simboleggiarne altri. Salcedo spezza il pavimento di un edificio costruito nel 1947 e adibito a centrale elettrica, simbolo e motore della ricostruzione e della modernizzazione della città nel dopoguerra. Ed è di sicuro impatto vedere un fabbricato così saldo e stabile intaccato nelle sue “fondamenta”. Colpi inferti, però, a seguito di un pensiero artistico e, prima ancora, sociale.
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ilaria congiù
mostra visitata il 17 ottobre 2007
dal 9 ottobre al 28 aprile 2008
The Unilever Series. Doris Salcedo – Shibboleth
Tate Modern – Turbine Hall
Bankside – SE1 9TG London
Orario: da domenica a giovedì ore 10-18; venerdì e sabato ore 10-22
Ingresso libero
Info: +44 02078878888; visiting.modern@tate.org.uk; www.tate.org.uk/modern
[exibart]
di grande impatto ! dal vivo e’ eccezionale.
complimenti a come diverse strutture in sinergia sostenevano l’artista: white cube gallery e la stampa.
e’ da esempio come una citta’in questo caso “Londra” dia un peso e una struttura al passaggio di un artista.
speriamo un giorno in italia…