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fino al 7.I.2007 The Hambourg Sound Amburgo, Hamburgmuseum
around
Quando i Beatles non erano ancora nati, Amburgo era già un vivace cross-over musicale. Proprio in questa città i fantastici quattro hanno cominciato a suonare e sono diventati famosi. Una storia che interessa non solo i fan del gruppo ma ogni nostalgico dei mitici anni Sessanta. In mostra nella città tedesca…
“I grew up in Hambourg, not in Liverpool”, soleva ricordare John Lennon. Il museo sulla storia della città di Amburgo ripercorre ora i primissimi passi della carriera dei Beatles, aiutandoci a comprendere la sibillina dichiarazione dell’anima del gruppo. Un’occasione per mostrare la vivacità dell’Hambourg sound, promosso e diffuso a tutto volume dal Top Ten Club, dall’Indra, dal Kaiserkeller ma soprattutto dallo Star Club, che aprì nel 1962 sulla celeberrima Grosse Freiheit. Sul palco dello Star Club suonarono, tra gli altri, Gene Vincent e Little Richard, Jerry Lee Lewis e Ray Charles, ma anche i Cream e Jimi Hendrix, di cui sono esposte alcune foto live indimenticabili.
Dietro il palco campeggiava un enorme skyline di Manhattan, disegnato da Erwin Ross, soprannominato il “Rubens di St. Pauli” (il quartiere in cui si trova tuttora il locale, con una nuova gestione). Ross, in effetti, dipingeva non tanto fondali con paesaggi metropolitani quanto quel mondo semisommerso di prostitute che pullulavano –allora come oggi– nel quartiere vicino al porto.
La mostra ricostruisce bene la situazione della fine degli anni Cinquanta, quando in Europa si erano imposte due tendenze musicali: quella dei teddy boys, vicini al rock’n’roll americano di Elvis o Little Richard, e quella degli Exis, vicini al jazz, all’esistenzialismo francese e allo skiffle –un misto di blues, jazz, country – come quello di Chris Barber. Due tendenze che si fusero a Londra e a Liverpool e presto ad Amburgo, in cui si consumò una sorta di coincidenza astrale, che la catapultò al centro del mondo musicale. È nel 1961 che i Beatles accompagnano, ad esempio, il cantante Tony Sheridon, con cui registrarono anche un disco. Da leggere attentamente i curricula dei Fab Four, scritti a penna su un foglio di carta, per ottenere questo primo ingaggio. Il più disordinato è senza dubbio quello dell’autore di Imagine, dove si legge persino un sorprendente “ambition: to be rich”.
Accanto a questi documenti rari e curiosi, la mostra raccoglie oggetti di ogni sorta, incluse le chitarre Fender dell’epoca, il merchandising legato ai Beatles, rivolto soprattutto al pubblico femminile, o ancora l’abbigliamento dell’epoca, come i lunghissimi stivali di pelle acquistati a Portobello Road. Senza dimenticare i veri e propri interni d’epoca, con tanto di radio, TV, arredo, design, secondo un efficace modello didattico adottato anche nella collezione permanente del museo. Strano a dirsi, la grande assente è proprio la musica, diffusa nelle sale più come un sottofondo che come la vera e propria protagonista come ci saremmo aspettati. Per ascoltarla, bisogna accontentarsi del CD che accompagna un catalogo ben documentato e bilingue.
L’esposizione offre tuttavia l’occasione unica di vedere alcuni disegni di Stuart Sutcliffe, il primo bassista dei Beatles, che aveva una formazione artistica e che lasciò il gruppo per consacrarsi all’arte e seguire i corsi di Eduardo Paolozzi. Ma il “James Dean di Amburgo” morì sfortunatamente nel 1962, a soli ventuno anni. In seguito alla sua scomparsa, John Lennon e George Harrison decisero di farsi ritrarre da Astrid Kirchherr –la sua bellissima compagna che pare ispirò il taglio dei capelli tipico dello stile Beatles– proprio all’interno del suo atelier, in scatti mangiati dall’ombra in cui emergono i volti giovanissimi dei protagonisti. Nessun cenno alla controversa versione dei fatti, nota ad ogni fan di Lennon, per cui Sutcliffe morì in realtà per un’emorragia causata dai colpi in testa dati dal cantante nel corso di una rissa svoltasi lo stesso giorno.
Quella dell’Hambourg sound è tuttavia una storia che dura meno di un decennio: nel 1969 il mitico Star Club chiude i battenti. Gruppi come i Beatles si esibivano oramai solo all’interno di tournée faraoniche e massacranti e ai vecchi music club –all’avanguardia nel promuovere la musica rock più innovativa– si sostituirono man mano le prime discoteche. Non è così un caso che la seconda parte di Hambourg sound prenda in considerazione, in modo più generale, lo sfondo socio-culturale, ovvero la contestazione degli anni sessanta e la rivoluzione dei costumi. Tra una congerie di documenti sonori e visivi, emerge la figura di Peter Ernst Eiffe, ex studente impiegato alle poste, che riempiva i muri di Amburgo con poster e scritte dal gusto surreale: “Eiffe, the bears, is back”, “Eiffe für President: tutti i semafori sul giallo” e così via. È oggi riconosciuto come uno dei primi artisti tedeschi a utilizzare il graffito come mezzo d’espressione. Ma si tratta, di nuovo, di una storia senza lieto fine: nel 1968 venne arrestato e rinchiuso in una clinica psichiatrica, da cui tentò di fuggire una notte d’inverno del 1984, morendo congelato. Non tutta Amburgo somigliava alla Grosse Freiheit.
riccardo venturi
The Hambourg Sound
Beatles, Beat & Grosse Freiheit
Hamburgmuseum. Museum für Hamburgische Geschichte
Holstenwall 24, 20355 Amburgo
Tel. 040 4281322827
info@hamburgmuseum.de
www.hamburgmuseum.de
Da martedì a sabato 10-17; domenica 10-18;
ingresso 7,50€; fino al 7 gennaio
[exibart]