“I grew up in Hambourg, not in Liverpool”, soleva ricordare John Lennon. Il museo sulla storia della città di Amburgo ripercorre ora i primissimi passi della carriera dei Beatles, aiutandoci a comprendere la sibillina dichiarazione dell’anima del gruppo. Un’occasione per mostrare la vivacità dell’Hambourg sound, promosso e diffuso a tutto volume dal Top Ten Club, dall’Indra, dal Kaiserkeller ma soprattutto dallo Star Club, che aprì nel 1962 sulla celeberrima Grosse Freiheit. Sul palco dello Star Club suonarono, tra gli altri, Gene Vincent e Little Richard, Jerry Lee Lewis e Ray Charles, ma anche i Cream e Jimi Hendrix, di cui sono esposte alcune foto live indimenticabili.
Dietro il palco campeggiava un enorme skyline di Manhattan, disegnato da Erwin Ross, soprannominato il “Rubens di St. Pauli” (il quartiere in cui si trova tuttora il locale, con una nuova gestione). Ross, in effetti, dipingeva non tanto fondali con paesaggi metropolitani quanto quel mondo semisommerso di prostitute che pullulavano –allora come oggi– nel quartiere vicino al porto.
La mostra ricostruisce bene la situazione della fine degli anni Cinquanta, quando in Europa si erano imposte due tendenze musicali: quella dei teddy boys, vicini al rock’n’roll americano di Elvis o Little Richard, e quella degli Exis, vicini al jazz, all’esistenzialismo francese e allo skiffle –un misto di blues, jazz, country – come quello di Chris Barber. Due tendenze che si fusero a Londra e a Liverpool e presto ad Amburgo, in cui si consumò una sorta di coincidenza astrale, che la catapultò al centro del mondo musicale. È nel 1961 che i Beatles accompagnano, ad esempio, il cantante Tony Sheridon, con cui registrarono anche un disco. Da leggere attentamente i curricula dei Fab Four, scritti a penna su un foglio di carta, per ottenere questo primo ingaggio. Il più disordinato è senza dubbio quello dell’autore di Imagine, dove si legge persino un sorprendente “ambition: to be rich”.
Accanto a questi documenti rari e curiosi, la mostra raccoglie oggetti di ogni sorta, incluse le chitarre Fender dell’epoca, il merchandising legato ai Beatles, rivolto soprattutto al pubblico femminile, o ancora l’abbigliamento dell’epoca, come i lunghissimi stivali di pelle acquistati a Portobello Road. Senza dimenticare i veri e propri interni d’epoca, con tanto di radio, TV, arredo, design, secondo un efficace modello didattico adottato anche nella collezione permanente del museo. Strano a dirsi, la grande assente è proprio la musica, diffusa nelle sale più come un sottofondo che come la vera e propria protagonista come ci saremmo aspettati. Per ascoltarla, bisogna accontentarsi del CD che accompagna un catalogo ben documentato e bilingue.
L’esposizione offre tuttavia l’occasione unica di vedere alcuni disegni di Stuart Sutcliffe, il primo bassista dei Beatles, che aveva una formazione artistica e che lasciò il gruppo per consacrarsi all’arte e seguire i corsi di Eduardo Paolozzi. Ma il “James Dean di Amburgo” morì sfortunatamente nel 1962, a soli ventuno anni. In seguito alla sua scomparsa, John Lennon e George Harrison decisero di farsi ritrarre da Astrid Kirchherr –la sua bellissima compagna che pare ispirò il taglio dei capelli tipico dello stile Beatles– proprio all’interno del suo atelier, in scatti mangiati dall’ombra in cui emergono i volti giovanissimi dei protagonisti. Nessun cenno alla controversa versione dei fatti, nota ad ogni fan di Lennon, per cui Sutcliffe morì in realtà per un’emorragia causata dai colpi in testa dati dal cantante nel corso di una rissa svoltasi lo stesso giorno.
Quella dell’Hambourg sound è tuttavia una storia che dura meno di un decennio: nel 1969 il mitico
riccardo venturi
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