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25
giugno 2008
fino al 7.IX.2008 Triennale Québécoise 2008 Montréal, Musée d’Art Contemporain
around
Prima edizione della Triennale canadese. E dal grande freddo proviene una manciata di artisti naturalmente non troppo incline all’emozione. Una breve carrellata e uno spunto per chi opera nella Penisola...
In questi giorni a Montréal è di scena la prima edizione della Triennale d’arte contemporanea del Québec. Gli artisti non sono, ovviamente, tutti di altissimo livello, ma in mostra ci sono sicuramente alcune opere di qualche interesse.
Appena si inizia il percorso della Triennale, allestita al primo piano del Musée d’Art Contemporain posto all’interno della bella Place des Arts, infatti, ci si imbatte in due opere di Jon Knowles: The Robert Smithson Record Collection (2004-2008) e History has a lot of ankles and its maws, and is pulling straight down (2008). La prima raccoglie in tre cassette di legno per la frutta l’intera collezione di dischi pop ed elettronici dell’artista concettuale, mentre un lettore mp3 dalla discreta memoria diffonde i ricordi dei suoi ascolti e delle sue preferenze in fatto di musica. Accanto, sempre sul pavimento, è disposta una square à laCarl Andre, composta però di 50 dischi originali di The Wall dei Pink Floyd. È all’interno di questi interstizi ed intersezioni tra mondi culturali virtualmente opposti e in realtà profondamente connessi -l’arte minimal e il concept album psichedelico, la land art e il rock di fine anni ‘60- che opera e scava il lavoro di Knowles, profondamente imbevuto dell’attitudine nostalgica e appropriazionista legata alla sua generazione.
Di fronte all’angolo di Knowles si trova Factory for a Day (1996-2008) di Tricia Middleton. Sicuramente più debole e didascalica, questa casetta di legno e alluminio memore dell’originale ambiente warholiano condivide con le prime installazioni lo stesso approccio verso il recupero di elementi culturali e atmosfere suggestive, prelevate per di più dal medesimo periodo storico.
Ma il lavoro più potente ed elegante è costituito dai due video di Patrick Bernatchez, dal titolo I feel cold today (2006) ed entrambi parte di una trilogia di sapore barneyano, incentrata sugli interni del museo. Nel primo film in 16 mm trasferito su dvd, lo spettatore guarda in soggettiva gli uffici invasi e sommersi da una tempesta di neve, con una colonna sonora che ricorda a tratti il Ligeti di 2001: odissea nello spazio, fino alla dissolvenza finale (in bianco, naturalmente). Nel secondo assistiamo all’annegamento del pagliaccio di McDonald all’interno di una berlina, mentre attorno a lui svolazzano palloncini, cartacce e altri simboli del post-capitalismo. Sotto il tutto, una musica neopsichedelica che potrebbe essere dei Motorpsycho o dei Warlocks migliori.
Dalle opere migliori di questi artisti canadesi, dunque, emerge in maniera chiara e prepotente il senso di un mondo congelato, paralizzato, anestetizzato: l’emozione ultima di quest’inizio di secolo è l’assenza di emozioni, l’insensibilità, l’atarassia. Noi italiani dovremmo essere maestri nel maneggiare questo tipo di sensazioni -ponendo magari l’accento sulle sfumature di impotenza, di frustrazione, di declino, di perdita, a noi sicuramente più congeniali- e invece niente, non succede niente. Non siamo nemmeno più in grado di capitalizzare il nostro stesso fallimento.
Dovremmo invece imparare da questi autori profondamente nordici e felicemente slegati da ogni sudditanza psicologica e intellettuale.
Appena si inizia il percorso della Triennale, allestita al primo piano del Musée d’Art Contemporain posto all’interno della bella Place des Arts, infatti, ci si imbatte in due opere di Jon Knowles: The Robert Smithson Record Collection (2004-2008) e History has a lot of ankles and its maws, and is pulling straight down (2008). La prima raccoglie in tre cassette di legno per la frutta l’intera collezione di dischi pop ed elettronici dell’artista concettuale, mentre un lettore mp3 dalla discreta memoria diffonde i ricordi dei suoi ascolti e delle sue preferenze in fatto di musica. Accanto, sempre sul pavimento, è disposta una square à laCarl Andre, composta però di 50 dischi originali di The Wall dei Pink Floyd. È all’interno di questi interstizi ed intersezioni tra mondi culturali virtualmente opposti e in realtà profondamente connessi -l’arte minimal e il concept album psichedelico, la land art e il rock di fine anni ‘60- che opera e scava il lavoro di Knowles, profondamente imbevuto dell’attitudine nostalgica e appropriazionista legata alla sua generazione.
Di fronte all’angolo di Knowles si trova Factory for a Day (1996-2008) di Tricia Middleton. Sicuramente più debole e didascalica, questa casetta di legno e alluminio memore dell’originale ambiente warholiano condivide con le prime installazioni lo stesso approccio verso il recupero di elementi culturali e atmosfere suggestive, prelevate per di più dal medesimo periodo storico.
Ma il lavoro più potente ed elegante è costituito dai due video di Patrick Bernatchez, dal titolo I feel cold today (2006) ed entrambi parte di una trilogia di sapore barneyano, incentrata sugli interni del museo. Nel primo film in 16 mm trasferito su dvd, lo spettatore guarda in soggettiva gli uffici invasi e sommersi da una tempesta di neve, con una colonna sonora che ricorda a tratti il Ligeti di 2001: odissea nello spazio, fino alla dissolvenza finale (in bianco, naturalmente). Nel secondo assistiamo all’annegamento del pagliaccio di McDonald all’interno di una berlina, mentre attorno a lui svolazzano palloncini, cartacce e altri simboli del post-capitalismo. Sotto il tutto, una musica neopsichedelica che potrebbe essere dei Motorpsycho o dei Warlocks migliori.
Dalle opere migliori di questi artisti canadesi, dunque, emerge in maniera chiara e prepotente il senso di un mondo congelato, paralizzato, anestetizzato: l’emozione ultima di quest’inizio di secolo è l’assenza di emozioni, l’insensibilità, l’atarassia. Noi italiani dovremmo essere maestri nel maneggiare questo tipo di sensazioni -ponendo magari l’accento sulle sfumature di impotenza, di frustrazione, di declino, di perdita, a noi sicuramente più congeniali- e invece niente, non succede niente. Non siamo nemmeno più in grado di capitalizzare il nostro stesso fallimento.
Dovremmo invece imparare da questi autori profondamente nordici e felicemente slegati da ogni sudditanza psicologica e intellettuale.
christian caliandro
mostra visitata il 24 maggio 2008
dal 24 maggio al 7 settembre 2008
La Triennale Québécoise 2008 – Rien ne se perd, rien ne se crée, tout se transforme
a cura di Josée Bélisle, Paulette Gagnon, Lesley Johnstone, Mark Lanctôt e Pierre Landry
Musée d’Art Contemporain
185, rue Sainte-Catherine Ouest – Montréal H2X 3X5
Orario: tutti i giorni ore 11-18; mercoledì fino alle 21
Ingresso: intero $ 8; ridotto $ 6/4
Catalogo $ 39,95
Info: tel. +1 5148476226; fax +1 5148476292; info@macm.org; www.macm.org
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