L’esposizione presenta l’intero percorso artistico di Vik Muniz (San Paolo del Brasile, 1961). Si inizia da Two cows, 1995, foto di una mucca pezzata dalla silhouette di un’altra mucca. Si passa poi alla serie del 1996 intitolata The sugar children, ritratti di ragazzi caraibici realizzati “in negativo”, disponendo le sagome di zucchero su un fondo nero. L’”effetto sudore” è ottenuto grazie alla consistenza un po’ caramellosa delle figure. Da qui in poi la specialità di Muniz diventa quella di disegnare/dipingere con materiali organici: paté, gelatina, sangue e, soprattutto, cioccolata. Minuziosi paesaggi in cui rintracciare icone riconoscibili: “Il mio obiettivo è che la gente passi più tempo osservando l’immagine. È necessario qualche trucco visivo affinché lo spettatore si fermi e osservi”… Disegna con materiali deperibili e poi fotografa, per forza. Muniz si definisce un disegnatore compulsivo, ma in mostra ci sono solo foto di disegni, foto di pitture, foto di collage. Tutte foto, incorniciate e dietro un vetro. La distanza dal disegno originale diventa grandissima; tanto più che i disegni fotografati sono quasi sempre copie di opere famose ingrandite fino alla dimensione di due metri e mezzo per due.
Nonostante questo risulta difficile definire Muniz un fotografo. Matthew Drutt ha correttamente detto di lui: “è un provocatore, un umorista concettuale che gode nel trasformare le cose, siano esse sacre o profane”. Questo piacevole spirito dissacratorio non risparmia nemmeno i titoli delle opere. Se, per esempio, una foto ritrae la copia di un quadro di Andy Warhol realizzata con burro d’arachidi e gelatina, l’azzeccato sottotitolo sarà “After Warhol”, che assomiglia molto ad una palata di terra sul maestro. E allo stesso modo ci sono un “After Van Gogh”, un “After Cézanne”, un “After Gerard Richter”, e così via.
L’arte di Vik Muniz incuriosisce, spinge a soffermarsi sulle foto per coglierne i dettagli, i materiali d’esecuzione e l’ingegno ludico. Foto di disegni realizzati con fil di ferro,
Nel testo che introduce alla mostra, Dan Cameron accenna ad un possibile populismo di Muniz; ed effettivamente la sua arte è abbastanza “facile”, che vuol dire anche diretta, semplice e deliziosa (pensando alla cioccolata). Muniz procede dalla pubblicità, ma meno concretamente si può parlare di una tattica alla Arcimboldi: eversiva per un certo verso, sicuramente affascinante.
Chiude il percorso espositivo un interessante video di Anne-Marie Russell sull’artista brasiliano. Muniz racconta in prima persona la sua vita, dalla povertà in Brasile al successo negli Stati Uniti – dove vive dall’83 – e nel mondo. Racconta della sua arte, dei suoi inizi, delle sue passioni e delle sue paure. Condito dall’epica del self-made-man, non sfugge l’impressionante somiglianza dell’artista col Tom Hanks di Forrest Gump.
albert samson
mostra vista il 5 novembre 2004
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