Il congegno più coerente è
senz’altro quello progettato dai CPS, che racconta senza troppe didascalie che
cos’è la storia, attraverso non solo le voci dei grandi (eventi), ma anche
sviluppando micro-narrazioni. Così, un gruppo di carcerati sono invitati
individualmente a parlar di sé, senza “consegne”. Il mondo (conosciuto
attraverso una finestra) è soggetto della serie di video-documentari esposti da
David Rych (Encounter) al Mubam di Murcia.
Il tema si ripropone a Cartagena,
questa volta evocato dalla sede, la prigione de Sant’Anton. Forse tra i luoghi
più suggestivi della kermesse, è anche teatro della micro-mostra più stimolante.
Visitando l’istituto, in disuso da dieci anni, e incontrando gli ex carcerati
coinvolti come volontari, lo spettatore ha modo di considerare un’idea altra di
quotidianità, osservando i murale dei detenuti, gli oggetti d’uso comune, la
palestra con i sacchi da boxe. E poi c’è l’arte, che a seconda delle occasioni
fa da contraccolpo, da corollario, da cornice, da sinonimo o da contrario. C’è
l’opera di Thierry Geoffroy aka Colonel, che sembra non essere molto
convinto dell’effettivo raggiungimento del main concept e offre il
proprio spazio agli artisti nordafricani, The penetration space, per ben
incominciare il dialogo. C’è Brumaria, che affronta il tema della violenza, e lo fa immergendo
lo spettatore in una videoproiezione concitata di immagini di guerra; il
sonoro, portato al parossismo, crea l’illusione di esserci davvero.
L’opera che meglio di tutte
realizza l’obiettivo si trova tuttavia al Centro Parraga di Murcia: è quella
dell’artista albanese Helidon Gjergji, in collaborazione con Woloo.
E lo fa con grande semplicità, senza sollecitare ulteriormente la vista, già
notevolmente affaticata. È l’olfatto, invece, a far da Cicerone, conducendo il
visitatore a scoprire al buio l’aroma delle spezie che l’artista ha “affisso”
alle pareti. Ogni profumo dà una prospettiva, è il racconto di secoli di
tradizioni racchiusi in un istante; il progetto di Gjergji crea una città
ideale in cui le differenze sono abbattute in nome di una superiore armonia,
una koiné dei sensi.
Intitolata Overscore, la
mostra degli ACAF, invece, agisce su un duplice livello, rivelando e oscurando
elementi del passato, stabilendo collegamenti con il presente e il futuro.
Questo tema trova corrispondenza nel motto concettuale della Theory of
Applied Enigmatics per il quale estetica, politica, teoria e pratiche
artistiche convivono in un confronto aperto con la vita.
La disposizione inziale è meglio
attesa dall’incubatore per la Pan-African Roaming Biennial, che realizza
le premesse a livello discorsivo. Quanto alle mostre, troviamo gli ACAF presso
gli antichi uffici delle Poste, dove buca senz’altro l’obiettivo il famosissimo
Sam Fujiwara. Pur non essendo coinvolgente come il progetto realizzato
per Frieze, l’enorme fallo pensato per Manifesta parte da presupposti non dissimili.
All’Aqua di Cartagena, Mahmoud
Khaled inscena una performance
guidata, insieme all’artista Aitor
Pellicer, costretto a vivere nel museo in compagnia di pochi ma sofisticati
averi, da un notebook al cellulare, ritratto non troppo allegorico della
precarietà itinerante, di una gioventù accampata che tuttavia non deve mai
venir meno all’essere connessa.
I
tranzit.org, con Constitution for a temporary display, propongono la prosecuzione
di un progetto già avviato da tempo e dichiarato esplicitamente nella stessa natura
del gruppo, folto ed eterogeneo. Il tema del dialogo viene così svolto in senso
critico, con un’interpretazione conflittuale aperta, al pubblico, of course.
Per chiarire meglio il concetto, i tranzit.org elencano, con l’intento di
aiutare la comprensione delle opere, una serie di parole-chiave condivise con
gli artisti.
Alle
Artillery Barracks, Erick Beltràn presenta i Modelli per costruire oggetti. In
realtà, ciò che gli interessa non è tanto sviluppare i suoi poliedri, che si
arroccano gli uni sugli altri come concrezioni frattali, quanto descrivere un
flusso vitale – ma soprattutto mentale – che si ripete e si autorigenera: da
cosa nasce cosa, da idea nasce idea. Martin
Vongrej si autoritrae in Self
observing consciousness – Vedomvie: una teoria di costellazioni, di simboli
quasi cabalistici, realizzati a disegno, pittura, con oggetti che delineano
cerchi concentrici, specchi, scritte o semplicemente lettere dell’alfabeto
disposte qui e là.
Ma il
segreto sta nell’apertura centrale che sfonda lo spazio verso l’esterno, alla
maniera di James Turrell, proiettando lo spettatore nel mondo conosciuto, in una
metafora poetica della coscienza interiore. Non esclusivamente quella
dell’artista.
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santa nastro
mostra visitata il 7 ottobre 2010
dal 7 ottobre 2010 al 9 gennaio 2011
Manifesta8
a cura di Alexandria Contemporary Arts Forum, Chamber of Public Secrets,
tranzit.org
Sedi varie – Murcia e Cartagena
Info: contact@manifesta8.es; www.manifesta8.com
[exibart]
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