Nel 1895 Gustave Moreau, riconoscendo le doti pittoriche di Henri Matisse (Le Cateau 1869-1954) sembra orientare le sue ricerche, con un annuncio di un profetismo e di una lungimiranza che hanno quasi dell’incredibile: “voi semplificherete la pittura”. Incredibile se pensiamo che allora il ventiquattrenne Matisse si applicava metodicamente allo studio dei valori, alle variazioni di luce e di materia in una gamma cromatica sobria e spenta. Al Louvre copiava Chardin, Poussin e Ruysdael, sfornando tele di estrema raffinatezza, come La Lisieuse (1895). Ed era lontanissimo ancora dal divenire il Re Sole della pittura; dal creare quel fantastico repertorio di forme e colori con cui scandagliò, come nessun’altro, l’immaginario. Da qui parte la stupenda esposizione svizzera. Da un Matisse per lo più inedito, lontano dall’immagine comune del pittore de La joie de vivre che tutti conoscono.
Disegni e tele di straordinario equilibrio, memori della lezione di Puvis de Chavannnes, possono farci allora capire come Matisse potesse essere definito da un collega belga, a data 1896, “artista delicato, maestro nell’arte dei grigi”.
Dopotutto si sa, si possono voltare le spalle ad una tradizione, ribaltandola dalle fondamenta, solo dopo averla attraversata per intero.
E così, Matisse riesce a far suoi il colore e le forme dei primi impressionisti, per farle esplodere cromaticamente in quelle nature morte in controluce, colte in prospettiva dall’alto in basso (Nature morte à la statuette) e soprattutto in una serie di nudi maschili e femminili campiti con violenta espressività, come per liberarsi da ogni convenzione accademica, dando il via a quell’incredibile, velocissima evoluzione rappresentata dalle opere dei primi anni del Novecento.
Non si può, di fronte a queste tele, non pensare alla lezione di Cézanne, alla struttura e all’energia dei suoi lavori. Da lui apprende che nel quadro i toni sono forze di cui è necessario equilibrare i rapporti e costruire la progressione. Ai rapporti e agli equilibri compositivi Matisse, come un matematico del colore, dedicherà la sua intera vita.
Attraverso sculture di piccolo formato (bellissimo Le serf, 1900-1903) e il famoso ciclo dei Nu de dos, viene offerta in mostra la possibili
Verranno poi i viaggi in Africa e l’attrazione per Delacroix (Odalisque à la culotte rouge, 1921) e Renoir (splendida la sessione che raccoglie i disegni di Matisse, in cui si colgono tutti i debiti col maestro); l’esotismo delle tele di Gauguin (Figure décorative sur fond ornemental, 1926) e poi via via, quel continuo equilibrarsi tra disegno e colore, verso gli esiti estremi di quel genere grafico che Matisse dominerà da sovrano (Nu bleu I, 1952). Si chiude così il cerchio e la profezia di Moreau, che ora appare la miglior definizione possibile per l’arte di Matisse, sembra essersi avverata: Il “Re Sole” ha davvero “semplificato”, e per sempre, la pittura.
stefano bruzzese
mostra visitata il 19 marzo 2006
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