Grande stagione l’autunno a Londra: dagli alberi cadono le foglie e nei musei spuntano le mostre. Mai visti tanti blockbuster tutti insieme. E tuttavia, una tra le mostre più attese nella capitale britannica è anche una fra le più difficili:
Rothko: The late series. Con oltre cinquanta opere su tela e carta che raccontano la storia degli ultimi dodici anni della sua carriera, quella della Tate Modern è la prima grande mostra dedicata alle opere tarde di
Mark Rothko (Dvinsk, 1903 – New York, 1970).
Uno show diverso e controverso, questo curato da Achim Borchardt-Hume, che optando per un’illuminazione diretta, quasi abbagliante, spoglia le icone pittoriche di Rothko della loro aura metafisica, restituendole alla realtà, rompendo coraggiosamente con l’idea radicata che vuole Rothko non un pittore, ma una religione.
Cuore della mostra è il gruppo dei nove
Seagram Mural, una delle grandi commissioni che dominano gli ultimi anni dell’artista russo-americano, qui affiancati per la prima volta a una selezione di dipinti a essi correlati, provenienti dalle collezioni del Kawamura Memorial Museum of Art e della National Gallery of Art di Washington.
Commissionati nel ‘58 per il nuovo Seagram Building di Manhattan, Rothko vi si dedica con entusiasmo.
Eccitato dalla possibilità di sperimentare con il concetto di serie, tra il 1958 e il 1959 produce non una bensì tre serie di dipinti di grandi dimensioni, in cui si sforza di comunicare (per usare una frase di Mallarmé) “
non la cosa, ma l’effetto che essa produce”. Ossessionato dalla reazione dell’osservatore e convinto che un’installazione errata potesse far apparire i suoi dipinti puramente decorativi, Rothko volle creare un ambiente in cui lo spettatore potesse sperimentare la risonanza emotiva dei suoi lavori.
Concepiti per esser esibiti uno accanto all’altro, a formare una sorta di fregio continuo, questi semplici rettangoli atmosfericamente pulsanti, che galleggiano su un campo di colore intenso, catturano l’attenzione dell’osservatore in modo a dir poco ipnotico. Meravigliosamente mistici e piacevolmente oppressivi, i
Seagram toccano in profondità le corde emotive.
Ma alla scoperta che le sue opere, tra cui il profondo
Red on Maroon (1959), non erano destinate a uno spazio pubblico nel grattacielo, ma alle pareti di un tempio del materialismo come l’esclusivo Four Seasons, Rothko non esitò a ritirarsi dalla commissione e, dopo aver restituito il denaro ricevuto, donò nove dei
Seagram alla Tate.
A partire da questa serie, Rothko intensifica progressivamente la tavolozza, prediligendo i colori scuri, nella convinzione che convoglino la tragedia del vivere in modo più efficace di quelli brillanti dei primi anni ‘50. E con giusta ragione. Come non interrogarsi sulla natura dell’esistenza umana davanti al nero compatto, quasi accecante, di
Black-Form (1964)? Certo, non tutte le opere in mostra hanno la stessa risonanza emotiva, ma tutte hanno il merito aggiungere qualcosa alla nostra conoscenza dell’artista e della sua tecnica.
Fisicamente debilitato da un aneurisma all’aorta, nel ‘68 Rothko è costretto a rinunciare temporaneamente alle tele di grandi dimensioni. Di questo periodo sono le sue ultime due serie,
Brown on Grey (1969), su carta, e
Black on Grey (1969-70), su tela. Abbandonati i rettangoli mistici dei
Seagram, Rothko dipinge grandi campiture di colore divise da una linea continua orizzontale, riempite da pennellate così larghe e sommarie da farle apparire quasi non-finite. Immobilizzati da un contorno bianco che si perde nel bianco abbagliante delle pareti, questi malinconici dipinti abbracciano l’universale dramma del vivere. Ma non ci sono messaggi, sta al visitatore decidere. Perché, come dice Rothko, “
il silenzio è talmente accurato…”