La lunga storia del ritratto presenta opere che a prima vista possono sembrare simili. Non si tratta d’altro che di ritratti, in fondo, antiche fotografie votate a rendere eterno un volto. Sono i particolari, lo stile e gli interessi dell’artista a distinguere l’immensa produzione ritrattistica: la presenza o meno di una ricerca psicologica, il livello d’interazione con lo spettatore e l’infinito numero di allegorie che nascono da oggetti e pose particolari.
Gli enormi ritratti dipinti di
Y.Z. Kami (Teheran, 1956; vive a New York), artista di origini persiane, rendono contemporanea ed estremamente complessa una pratica così tradizionale. I soggetti sono persone banalmente normali, che indossano vestiti assolutamente anonimi. Non vi è alcun particolare che possa farli ricordare, riconoscere, classificare; sono coloro che incrociamo, ogni giorno, nelle strade di qualunque città.
Cosa rende allora straordinari questi dipinti, capaci di attirare fin da subito l’attenzione? Qual è il motivo per cui ognuna di queste opere non si esaurisce a una prima occhiata, ma necessita di un’attenta osservazione?
Non sono solo le grandi dimensioni e la fortunata collocazione nella prima sala della Parasol Unit, importante fondazione per l’arte contemporanea, a rapire lo spettatore; c’è un’aura mistica che pervade ogni soggetto, alimentata dalla completa assenza di interazione con chi guarda: gli occhi sono chiusi, abbassati, o guardano verso l’infinito. I ritratti sono fedeli ed estremamente realistici, ma i colori tenui sono stesi in un’infinità di sovrapposizioni, che rendono l’immagine fuori fuoco. Ed è proprio la tensione fra realtà e sacralità, fra immateriale e comune che rende così interessanti questi lavori.
La prima mostra inglese di Kami non si esaurisce però con questa serie. Addentrandosi negli ampi spazi della fondazione londinese, si scoprono altri ritratti di dimensioni più contenute e una grande opera dove le fotografie di architetture e luoghi islamici sono giustapposte a volti dipinti. Le immagini degli edifici raccontano e nascondono le più svariate storie, che si rivelano nella loro stessa immagine, proprio come in un volto umano.
La serie di lavori che dà il titolo alla mostra,
Endless Prayers, è invece composta da una serie di collage per i quali l’artista ha ritagliato piccoli rettangoli di carta con parole prese da diversi libri. I minuti pezzetti di carta sono incollati sulla tela, seguendo moti circolari o forme che ricordano alcuni dettagli architettonici tipici di costruzioni islamiche. Il loro richiamo a simboli e rituali sacri funge da perfetto complemento ai ritratti.
Y.Z. Kami si pone al confine tra la realtà comune e qualcosa che la trascende. L’intera mostra sembra avere lo scopo di rendere straordinari i particolari invisibili della vita di tutti i giorni, e mutare in monumentale e memorabile l’immagine più banale.