Kirsten Everberg (1965, Los Angeles) dopo una carriera da costumista nel mondo del cinema, che le ha valso diverse candidature agli Oscar, molla tutto per dedicarsi alla pittura alla ricerca di una creatività più soggettiva. Presente per la terza volta nella capitale francese presso la Galerie Hussenot, l’artista presenta una ventina di opere di varie dimensioni nelle quali ambienti ricercati o naturali, al chiuso o all’aperto, e l’assenza dell’umano si fanno sentire. Ed è intorno a quell’assenza, a quel vuoto, che la Everberg elabora opere dall’atmosfera piuttosto cinematografica. L’artista rielabora e ricrea spazi già esistenti – come la Greystone Mansion, il Castello Marmont, la Bradbury Building o il Los Angeles Arboretum – con particolare attenzione al dettaglio che si carica di identità nuove o da svelare. A primeggiare è la ricerca e l’accostamento dei colori, che
vanno dai toni freddi ai caldi, che vibrano tra trasparenze e prospettive, per essere restituiti grazie ad un impasto di materia, fatta di olio e smalto, che da uno spessore insolito al dipinto. Un impasto che dà alla rappresentazione una sorta di liquidità . Come in Pool, in cui scompare il tratto, il pennello, che pare un’opera quasi astratta se vista da vicino, ma che da lontano riacquista un contenuto riconoscibile che si inserisce in un eloquente contesto narrativo; le medesime sensazioni si hanno guardando opere come Bar (Red Lanterns) e Library. Bella, poi, la natura lussureggiante, smaltata, lucente, che narra di un’armonia quasi ideale tra uomo e natura, tra natura ed architettura, di Walkway: nella sua pace apparente traspare altresì una profonda inquietudine, quella delle immagini che raccontano l’influenza dei media nella memoria collettiva. La Everberg ama infatti esplorare le identità , dalla femminile alla maschile, attraverso l’analisi degli spazi che queste investono.
livia de leoni
mostra visitata il 27 marzo 2012
[exibart]