Venezia è l’indiscussa protagonista della mostra evento Venice and Islamic World al Metropolitan Museum di New York. L’esposizione, partita dal prestigioso Institut du Monde Arabe di Parigi, gioiello architettonico di Jean Nouvel, ha riaperto il 28 marzo scorso al Metropolitan Museum a New York ed è attesa in laguna a fine luglio per la sua tappa conclusiva.
L’italiano Stefano Carboni, curatore della mostra e del Dipartimento di Arte Islamica del Metropolitan, ha selezionato duecento opere provenienti da collezioni pubbliche (in gran numero veneziane) e private. Tappeti da preghiera, manoscritti rarissimi, vetri, manufatti in cuoio, velluti, porcellane e dipinti raccontano la storia dei continui legami tra Venezia e i Mammalucchi prima, che esercitano il loro potere sul Mediterraneo orientale tra l’Egitto e la Siria, e i Turchi Ottomani poi, dalla seconda metà del XV sec. a seguito della caduta di Costantinopoli.
Due celebri, fieri profili dipinti da Gentile Bellini personificano lo spirito di tale sodalizio: il ritratto del doge Giovanni Mocenigo conservato al Museo Correr di Venezia e il quello del sultano Maometto II, (National Gallery, Londra) per la cui realizzazione Bellini soggiornò a lungo a Istanbul.
La relazione incessante tra le due civiltà viene convenzionalmente collocata in un periodo di tempo limitato da due date, l’828, anno in cui due mercanti veneziani, dopo aver trafugato ad Alessandria d’Egitto le reliquie di San Marco, portano a Venezia le spoglie di quello che diventerà il patrono della città, (motivo dell’immediata erezione della basilica di San Marco, l’allora cappella di Palazzo Ducale) e il 1797, data che segna la fine della Repubblica Veneziana con l’arrivo di Napoleone Bonaparte.
“Il pragmatismo”, sottolinea Carboni nel suo saggio, “ è il termine che meglio definisce la relazione di Venezia con il Medioriente musulmano. Nonostante tutte le guerre, Venezia rimane un partner privilegiato, grazie al perfetto equilibrio di un forte spirito religioso e diplomatico e un acuto senso del commercio.”
Il cuore della mostra, documentata da un intenso apparato storico e geografico, comprende le opere datate tra il XV e XVI secolo, quando i rapporti tra Venezia e l’Oriente si intensificano. Il nodo focale è rappresentato proprio dalle opere tratte dalla missione diplomatica di Gentile Bellini nella corte del sultano Maometto II tra il 1479 e il 1481. Durante la sua visita a Istanbul Bellini rappresenta figure islamiche che affascineranno l’enciclopedia figurative di molti suoi allievi come Carpaccio e Giovanni Mansueti.
Orientale è il repertorio iconografico nella pittura religiosa veneziana, orientali le vesti dei cicli narrativi negli affascinanti teleri di Carpaccio, presente in mostra il ciclo di santo Stefano: La predicazione, conservata al Louvre e raramente visibile, accanto al “seguito” della storia: la Lapidazione di Stefano conservata alla Staatsgalerie di Stoccarda. La predicazione del Santo avviene sullo sfondo di minareti e uomini in turbante, a dimostrare quanto tali artisti fossero attratti dalla moda orientale, fatta di stoffe dai motivi iconografici discreti e precisi. Interessante l’associazione del ritratto della Famiglia Volta di Lorenzo Lotto, conservato a Londra, con il tappeto presentato ritratto nel quadro, oggi noto con il nome “tappeto Lotto”, tipico modello prodotto nell’Impero Ottomano (presente in mostra).
Quella dei tappeti è forse la sezione più affascinante della mostra, pezzi rarissimi tra tappeti di preghiera e funebri accanto a ceramiche ottomane di Iznik ornate di rose, giacinti e tulipani di blu forti, rossi e verdi. Accanto ai tappeti, lampade di moschea delle vetrerie veneziane ispirate alle tecniche dei Mammalucchi e poi esportate al levante. Splendidi i manoscritti, tra cui le prime celebri edizioni di Aldo Manuzio, e la sorprendente prima edizione del Corano edita proprio a Venezia (1537-38) e scoperto solo una ventina d’anni fa nel monastero dell’Isola di San Michele.
barbara martorelli
mostra visitata il 30 marzo 2007
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