14 aprile 2010

fino all’8.VIII.2010 Henry Moore London, Tate Britain

 
Grandioso o grandemente sopravvalutato? Radicale o semplicemente ripetitivo? Il figlio del minatore che ha dato credibilità all’arte dell’Inghilterra del dopoguerra riceve il “trattamento Tate”. Ai posteri l’ardua sentenza...

di

Settimo figlio di un minatore
dello Yorkshire, Henry Spencer Moore (Castleford, 1898 – Perry Green, 1986) ha la stessa
compattezza delle sue sculture. La sua storia è semplice: il padre, un
autodidatta di grandi ambizioni, insiste che il figlio si qualifichi come
insegnante. Ma Moore sa già che diventerà uno scultore, anche se deve aspettare
lo scoppio della Prima guerra mondiale per sfuggire a una carriera che non
sente sua. Finita la guerra, si iscrive alla Leeds School of Art, dove legge Vision
and Design
(1920)
di Roger Fry,
che lo introduce alla tridimensionalità dell’arte africana e precolombiana.
Da sempre affascinato dall’origine
preistorica della vita, raccoglie ossa, crostacei, pietra, legno e ogni forma
naturale che attrae la sua attenzione. Ma sono le visite settimanali al British
Museum di Londra, dove Moore si trasferisce nel 1921 per studiare al Royal
College of Art, che accendono in lui l’interesse per l’arte primitiva.
Interesse che gli darà il coraggio di rifiutare la convinzione comune che la
scultura greca e rinascimentale siano le uniche degne di nota.
Henry Moore - Reclining Figure - 1929 - Leeds Museums and Galleries - courtesy The Henry Moore Foundation, Perry Green
Come Brancusi, Modigliani, Epstein e Gaudier-Brzeska prima di lui, il Moore degli anni ‘20
e ‘30 è aggressivamente modernista. E, come i pionieri delle avanguardie che lo
hanno preceduto, crede appassionatamente nella scultura diretta (direct
carving
) e nella
fedeltà alla materia. E di “materia” nella nuova retrospettiva di Tate Britain
ce n’è in abbondanza: pietra, bronzo, legno (per citarne alcune) e numerosi
disegni. 150 opere esplorano l’impatto del contesto storico e intellettuale
dell’epoca sull’artista inglese: dalle parafrasi scultorie dell’arte primitiva
delle prime sale (tra cui Mother and Child, 1924-25 e l’iconica Reclining Figure in pietra di Hornton del 1929)
alla guerra, l’avvento della psicanalisi, il Surrealismo, il dopoguerra.
Appassionatosi alla rivoluzione
della scultura francese guidata a Parigi da Giacometti, Picasso e Arp, nel 1933 Moore si unisce al
gruppo Unit One di Paul Nash. Sono anni intensamente creativi questi per l’artista inglese, il cui “flirt”
con il Surrealismo dona alle opere di questo periodo una consistenza sognante.
Ma Moore non è nato surrealista e nel Surrealismo cerca solo nuove forme
espressive. Strumento e non obiettivo, l’astrazione non gli si addice.
Bruscamente interrotta dallo scoppio Seconda guerra mondiale, l’onda creativa
di quegli anni riappare, trasformata, nel dopoguerra. Gli orrori
dell’Olocausto, la Guerra fredda, le inquietudini dell’era atomica si traducono
nelle forme affilate di Reclining Figure (1951), la cui l’emaciata tridimensionalità in
gesso e spago sembra evocare un’umanità ridotta allo stremo.
Henry Moore - Reclining Figure - 1939 - legno d’olmo - Detroit Institute of Arts - courtesy The Henry Moore Foundation, Perry Green
Ma vero gioiello della mostra sono
gli Shelter Drawings, i disegni che ritraggono gli abitanti di Londra addormentati nei
rifugi nella metropolitana durante i raid aerei della Seconda guerra mondiale.
Ispirati in realtà alle sue memorie di soldato in trincea durante la Grande
Guerra, non sorprende che proprio questi disegni faranno conoscere Moore al
grande pubblico. La visionaria intensità delle file di corpi addormentati,
fragili monumenti alla resistenza stretti gli uni agli altri come larve nel
claustrofobico spazio del tunnel, fa di Tube Shelter Perspective Liverpool
Street Extension
(1941)
la metafora della fragilità della condizione umana.
La grande sfortuna di Moore è stata che quelli seguiti
alla sua morte, avvenuta nel 1986, siano stati per l’arte britannica anni di
incredibile innovazione. Accanto ad Anish Kapoor, Moore non appariva più così
eccitante, così radicale. Ma ora, a distanza di quasi venticinque anni, il
tempo ha rimesso tutto in prospettiva. E, da lontano, l’opera di Moore torna a
essere eterna.

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mostra visitata il 5 marzo 2010


dal 24 Febbraio all’otto agosto 2010
Henry Moore

a cura di Chris
Stephens e Michael Parke-Taylor
Tate Britain
Millbank – SW1P 4RG London
Orario: tutti i giorni ore 10-17.50 (ultimo ingresso ore 17); fino alle 22 il
primo venerdì del mese
Ingresso:
intero £ 12.50; ridotto £ 11
Catalogo £ 19,99
Info: tel. +44
02078878888; visiting.britain@tate.org.uk;
www.tate.org.uk

[exibart]

1 commento

  1. Molto interessante il reportage, soprattutto il gusto, che per ognuno di noi cambia, infatti io non ho amato molto i disegni, troppo rigidi e cupi, sicuramente espressione vera di un momento, ma che visti ora mi paiono brutti.
    Stupendo invece il passaggio fra la seconda e terza stanza in cui si percepisce il cambiamento stilistico di Henry Moore. La parte finale invece l’ho trovate inadatta, lo spazio chiuso per questo gruppo di sculture era soffocante, stupenda invece la scultura posta accanto sul tamigi

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