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Immconpanprudicol e altri racconti. Intervista con Ben Pruskin
around
Glamour e violenza metropolitana sono tra gli ingredienti fatali dei lavori su video di questo giovane artista inglese, presentato nei prossimi giorni a Berlino alla Galerie Wieland…
di Irene Amore
Sono storie che fanno trattenere il respiro, disturbano, sconcertano. Scorrono su schermi di televisori come schizofreniche memorie, accompagnate dall’avvolgente percussione dei colori e dal ritmo ipnotico delle colonne sonore. I lavori di Ben Pruskin, presentati tra ottobre e novembre per la prima volta a Berlino alla Galerie Wieland, raccontano delle nostre paure e dei nostri piaceri, ma anche di una condizione post-umana dentro e fuori l’onnipotenza accattivante dello “spettacolo”, in bilico tra artificio plastificato e violenta realta’.
I tuoi lavori su video implicano l’adozione di diversi elementi, dal testo che scorre sullo schermo seguendo scansioni ritmiche irregolari, alle diverse tonalità dei colori di sfondo, all’uso di particolari colonne sonore. Ci puoi spiegare meglio che relazione intercorre tra questi diversi fattori?
I diversi elementi nei miei lavori stanno ad offrire allo spettatore del materiale con cui invischiarsi, avvolgersi, nel senso proprio del coinvolgimento. Mi interessa assumere forme e materiali nei quali il mio pubblico si possa rispecchiare. Il pubblico è molto più attento e sveglio di quanto si creda. Gli spettatori possono mettere insieme l’intero lavoro per conto proprio molto meglio di quanto possa fare io. Penso che sia importante offrire allo spettatore una certa illusione di libertà permettendogli di leggere il lavoro alla maniera che vuole. Spesso in arte le opere presentano un unico punto di vista, una visione univoca, un’unica ed autocratica traiettoria di lettura. Credo che questa modalità di lavoro sia tediosa per chiunque venga coinvolto. Il mio lavoro ha anche fare con il potere dello “spettacolo”, della narrazione, come strumenti per acquisire un senso di identità, e diventare consapevoli della nostra capacità di dominare ed essere dominati allo stesso tempo. Idealmente vorrei che il mio lavoro avesse un qualche potere sullo spettatore, vorrei che riuscisse a manipolarlo, senza tuttavia trarlo in inganno, piuttosto mostrandogli chiaramente gli elementi in gioco nel corso della manipolazione, mostrandogli cioè il potere dello spettacolo, ed il nostro intimo bisogno di narrativa. Vorrei che il mio pubblico esercitasse la sua capacità critica proprio nel momento in cui si immerge nell’opera, vorrei di conseguenza che l’opera avesse un effetto liberatorio.
C’è poi il rapporto tra le video-installazioni e lo spazio circostante dove vengono collocate, come in “Mopicoprudicol”: qui 5 monitors sono appoggiati su una base a pochi centimetri dal pavimento, sul monitor centrale appare il testo, gli altri schermi si illuminano con diverse nuances di colori, poi un’altra base identica alla prima ma vuota è stata collocata proprio di fronte alla video-installazione, di nuovo sul pavimento. Questo tanto per fare un esempio. E mi sembra di capire che talvolta lo stesso lavoro viene installato diversamente a seconda del luogo espositivo …
Il mio lavoro cambia a seconda dei limiti del contesto espositivo, oppure perchè sono io a modificare il lavoro stesso, perchè con opere su video questo è possibile. Il lavoro può raccontare la sua storia, ma poi deve anche essere in grado di percorrere la sua strada.
I tuoi titoli sono giochi di parole, oppure sono dei non-sense?
Molti dei miei titoli derivano dalle diverse componenti del lavoro. “Plastikamglampanproco” è composto da Plastikman, di cui ho adottato la musica, “American Psycho” e “Glamorama” di Brett Easton Ellis, da cui ho tratto i testi; poi, Pantone Pro Sim e Pantone Coated sono le due varietà di colore Pantone che ho usato. Come vedi, i titoli rivelano i frammenti ritrovati che fanno poi parte dell’opera. Siccome poi tendo a reciclare materiali già adottati, può anche succedere che il titolo sia ridotto a nulla, ad una pura invenzione. “Easy for you, easy for me” è un esempio.
Alcuni dei tuoi lavori, ad esempio “Hogopaprutica” e “John Wesley” sembrano partire dalla ripetizione di un un elemento base, interrotto da un improvviso atto violento oppure da un sottile mutarsi di forme e suoni. Potresti commentare a questo proposito?
Il climax è ripetizione!
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Galerie Wieland
Ackerstrasse 5
10115 Berlino
Tel +49 30 28385751
Fax +49 30 28385752
Email aw@galerie-wieland.de
Website www.galerie-wieland.de
Orario di apertura: Mercoledi-Venerdi, 14.00-19.00
Sabato, 12.00-17.00
[exibart]