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L’affaire Ferrari

di - 31 Gennaio 2005

Stanco per le minacce personali ricevute, Leon Ferrari (Buenos Aires, 1920) ha deciso la chiusura anticipata della sua retrospettiva al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires.
La mostra aveva riaperto a Gennaio dopo la chiusura forzata ad opera del giudice Liberatori con l’accusa di oscenità e offesa alla pubblica morale. Già a pochi giorni dall’apertura – complici il clima natalizio e la prossimità del centro culturale alla chiesa S.Maria del Pilar e al cimitero di Recoleta – vari gruppi cattolici avevano protestato contro le tematiche blasfeme dell’esposizione.
L’attacco esplicito e sfrontato alla Chiesa, sferrato da Leon Ferrari con le sue opere dissacratorie, non poteva certo passare inosservato. Dopo ripetuti tentativi di danneggiamento alle opere, lamentele ed esposti alla procura, era arrivata l’ingiunzione di chiusura, accompagnata dalla scomunica del cardinal Bergoglio. Decisamente scomodo il lavoro di Ferrari, che, spesso accusato di blasfemia, traccia una cronistoria della Chiesa e del mondo occidentale fornendone una visione critica poco edificante: un occhio di bue sulla violazione dei diritti umani perpetrata per millenni, dall’inquisizione di Torquemada alle relazioni di Hitler col papato, dalla dittatura militare in Argentina alle guerre di Bush.
Ferrari indirizza la sua ironia polemica contro il clero fin dal 1966, anno in cui risponde alla guerra del Vietnam con La civilizacion occidental y cristiana, opera-simbolo in cui un caccia dell’U.S.Air Force in picchiata fa da croce al Cristo. L’artista si fa beffa del Vaticano intero piazzando i nudi di Cicciolina e Madonna nei palazzi papali, in compagnia di cardinali e arcivescovi , oppure nascondendo l’effige del Papa sotto un albero di profilattici (Homenaje al preservativo, 1992). Non risparmia nemmeno il Giudizio Universale, trasformandolo in un raccoglitore di feci dentro una gabbia di piccioni, e per finire propone la sua Relectura de la Biblia (1988) in cui rielabora l’iconografia religiosa esistente connettendola a immagini di erotismo, tortura e guerra.
Nel 2000 prepara poi le sue Ideas para Infierno sculture che inscenano incontri improbabili tra santi e diavoli, topi e cristi, giocati sulla scacchiera; e poi ancora statue del Cristo grattuggiate, cotte in padella insieme ai santi, chiusi in uccelliere, tostate e alla griglia.
Nonostante tanta sacrilega irriverenza, l’annuncio della chiusura definitiva, prevista per sabato 29 gennaio (un mese prime della data concordata in origine), fa scattare la reazione della popolazione bonaerense che – artisti, giornalisti e scrittori in testa – insorge contro la censura. La polemica e’ aspra e assume connotazioni sociali. Si rievocano spettri di un passato triste e fin troppo prossimo, sostenendo a gran voce un’energica rivendicazione di quella libertà di pensiero di cui gli argentini, fino al 1982, furono privati da una sanguinaria dittatura militare.
Il supporto del popolo si era fatto sentire fin da quando, lo scorso 4 gennaio, la mostra aveva riaperto i battenti: la gente era accorsa in massa, facendo registrare oltre quindicimila presenze.
Ma la diatriba in corso era degenerata nelle ultime settimane: quelli che prima erano tentativi di danneggiamento, divengono ora minacce all’artista e al centro culturale, e le file interminabili davanti all’ingresso vengono sgomberate per ben quattro volte dagli artificieri del nucleo antibombe.
L’esasperazione dell’anziano artista, in accordo con la curatrice, Andrea Giunta, lo spinge ad annunciare la sbrigativa chiusura della mostra, per salvaguardare la propria incolumità e quella dei visitatori. La popolazione portegna però non cede il passo e con 1.500 visitatori in un giorno rende chiara la propria posizione di dissenso contro l’improvvisa decisione.
La notizia ha rimbalzato nel nuovo e nel vecchio continente arrivando fino alle prime pagine di El Pais e Le Monde, e portando a Buenos Aires visitatori da ogni parte del mondo: curiosi e addetti ai lavori che meditano già su un’eventuale esportazione della mostra addirittura alla Tate di Londra. E se la retrospettiva di Ferrari sbarcasse a Roma?

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www.centroculturalrecoleta.org

fabio antonio capitanio

[exibart]

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