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Manzù rappresenterà l’arte italiana a Strasburgo

di - 3 Dicembre 2001

“Ora questa porta non è più mia, ma se fosse mia vorrei mettere il pannello della guerra come lastra sulla soglia a far da pavimento sul limitare perché fosse calpestato da chiunque e tenuto perennemente sotto i piedi della gente, fino a cancellarne le immagini, nel ritmo inarrestabile del suo cammino di folla.”
Queste le parole che Giacomo Manzù pronuncia in occasione dell’inaugurazione della Porta della Pace e della Guerra (1964-1968) da lui realizzata per la chiesa di St. Laurenz a Rotterdam.
Manzù condanna senza riserve la guerra e La Porta di Rotterdam rappresenta forse la sintesi, non soltanto dei temi trattati nelle altre sue porte, ma il fulcro attorno al quale ruota tutta la sua attività artistica. Vuole poter parlare della vita quotidiana, dei dolori, delle gioie, delle speranze, i protagonisti dei suoi rilievi gridano il loro sdegno di fronte alla guerra. Contro la guerra rivolge alacremente la sua invettiva: la condanna senza riserve; individua i suoi paladini e le sue vittime; senza pudore, senza paura li impone con violenza di fronte agli sguardi sgomenti.
La Pace è invocata e si presenta come qualcosa alla portata di tutti, non è un luogo nascosto e misterioso al quale difficilmente si accede. Nella porta olandese è rappresentata nella dolcezza di una madre che solleva verso l’alto il suo bambino, la gioia della maternità; la serenità della famiglia è la Pace. Questo piccolo miracolo quotidiano si pone come antitesi alla Guerra, all’odio.
La mostra di Strasburgo presenterà cinque bronzi che saranno allestiti al Parlamento Europeo: la ‘Testa di Inge’ (1991), ‘Tebe che cade’ (1985), ‘Donna che guarda’ (’83-’90), ‘Natura morta’ (’83) e ‘Cardinale seduto’ (’89-’90).
Anche l’Italia celebrerà lo scultore bergamasco a Roma, il prossimo ottobre a Palazzo Venezia, con un’antologica di ampio respiro che accoglierà numerose opere provenienti da tutto il mondo. La mostra romana sarà forse l’occasione per rispolverare le opere donate alla Stato da Giacomo Manzù nel 1979 e da allora custodite nel Museo Manzù di Ardea, sopitamente gestito dalla Soprintendenza Speciale per l’Arte Contemporanea.

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