Allestita nello spazio dedicato alle mostre temporanee, in quella che un tempo era l’ex Cappella dell’Hotel Biron, la mostra “Mapplethorpe Rodin” al Museo Rodin ha messo a confronto 50 sculture della collezione con 102 fotografie provenienti dalla Robert Mapplethorpe Foundation di New York.
Suddivisa in sette tematiche comuni ad entrambi (Bianco / Nero – Ombra / Luce; Assemblaggio / Composizione; Gusto per il dettaglio; Erotismo / Dannazione; Drappi; Movimento / Tensione; Materia / Astrazione), che ad una prima, immediata lettura, potevano farla apparire come l’ennesima rassegna didascalica, L’esposizione è stata, al contrario, uno spazio di grande vitalità e stimolante competizione.
Uno spazio dalla scenografia impeccabile, studiato da ogni minima angolatura, ricco di rimandi e suggestioni in grado di valorizzare ancor di più l’indiscutibile operato dei due autori.
Judith Benhamou-Huet, Hélène Marraud e Hélène Pinet, hanno saputo infatti creare un contesto al contempo museale e incredibilmente poetico, quanto sperimentale e performativo. Si studiano a distanza, si corteggiano, sino quasi a sfiorarsi. Inedito, per il museo, anche il confronto dei mezzi.
Si trattava infatti del primo faccia a faccia fra la scultura e la fotografia, quest’ultima così amata da Rodin, tanto da possederne un archivio di almeno 7000 pezzi.
E non a caso, appena entrati nella sala, l’impressione ricevuta era che la scultura sia stata creata dalla fotografia o che la voglia emulare. Inizia così un dialogo ammaliante, dove ad essere protagonista è quella gestualità musicale tipica delle pale cinquecentesche. Quella tensione di membri e di membra che talvolta trattiene, altre rilascia, una pulsione erotica nel complesso solo sussurrata. Corpi minuti si disciolgono, di fronte a corpi possenti ma glaciali, in sensuali amplessi. Mani che accarezzano, si alternano ad arti geometrici che posano.
Se in Rodin il corpo è “il calco in cui si esprimono le passioni”, la carne che trattiene i segni dei passaggi, in Mapplethorpe è perfezione e artificio. Se Rodin cerca nel gesto e nella materia la fusione, dando vita a quella che Krauss ha definito “la vena perversa dell’opacità ”, Mapplethorpe, attraverso il gesto dà vita al distacco e all’isolamento. Se l’uno ricerca la morbidezza e la fluidità delle forme femminili, l’altro è ossessionato dalla marmoreità di quelle maschili. La potenza del corpo e la debolezza della carne dunque, viste nel loro farsi e disfarsi e disposte in una chiave assolutamente attuale che potrebbe anche aprire una riflessione sull’acuirsi della difficoltà dei rapporti fra uomo e donna che, come nei soggetti in mostra, si sfiorano senza guardarsi mai.
Eva Comuzzi
mostra visitata il 13 luglio 2014
Mapplethorpe-Rodin
Musée Rodin,
79 rue de Varenne, 75007 Parigi
Info: www.musee-rodin.fr