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16
aprile 2014
Estman era un teatro itinerante che intratteneva i minatori nel nord della Spagna negli anni ’50 del secolo scorso e che presta il proprio nome – e la propria correlazione tra espressione e aspetti sociali – a una serie di lavori legati alla dimensione auditiva, pensati da Marinella Senatore. Il primo è Estman Radio Drama (2011), un radio dramma in quattro capitoli (sviluppato specificatamente per la 54. Biennale di Venezia, ILLUMInations), scritto da operai del petrolchimico di Porto Marghera, ex operai in pensione e relative famiglie, in collaborazione con studenti delle università di Ca’ Foscari e IUAV. Lo stesso spirito – ma con un raggio potenzialmente ancora più ampio – si ritrova in Estman Radio Podcast, ultimo progetto dell’artista, lanciato la sera dell’inaugurazione di “Public Secrets” presso la Kunsthalle di San Gallo, nella cui sala centrale uno studio di registrazione funzionante, immerso in una diffusa luce rossa, offre l’opportunità di incidere tracce audio a chiunque interessato. Automatica è la pubblicazione su una piattaforma online su cui è altrettanto possibile caricare materiale audio per semplice invio email, motivo per cui il progetto continuerà a vivere di vita propria anche oltre la mostra. Il podcast progetta di diventare una vera e propria radio, con accesso streaming e possibilità di contributi in diretta.
Una polemica nei confronti dell’autore con la “a” maiuscola? Sì, perché il proponimento di Senatore è quello di offrire spazio – e strumenti – e lasciare agli altri, ai “fruitori” la possibilità di riempirlo. Claire Bishop, tra le tante possibili definizioni, lo chiamerebbe arte partecipativa.
Una composizione ispirata dai rumori dei cantieri navali che hanno reso grande la città di Glasgow; un brano registrato attraverso il guscio di una lumaca; un dialogo tra un artista e dei passanti a cui chiede di scambiarsi i vestiti; il ronzio del ponte di San Mateo-Hayward in California registrato e ritrasmesso per telefono, attraverso cui riverbera all’infinito.
La pluralità e la varietà delle voci di Estman Radio Podcast sembrano poter ricordare quello che Irit Rogoff (sulla scia di Foucault, Lefebvres e Haraway) descrive come ‘deep space’. Lo spazio in cui viviamo, cioè, non è un vuoto neutro in cui succedono delle cose, in cui individui ed eventi si inseriscono. Lo spazio in cui viviamo è la cosa che succede – in e attraverso quello. È cioè innanzitutto uno spazio sociale – non strettamente geometrico, euclideo – ossia vissuto e determinato dagli individui che lo vivono e che lo costituiscono, e di conseguenza un qualcosa in continuo processo di generazione, e difficilmente misurabile nel suo complesso. Estman Radio Podcast – e l’arte partecipativa di Senatore – ci spingono a ricordarci che lo spazio è fatto di voci, eterogenee, in continua gestazione che, solo parzialmente decifrabili, possono (fortunatamente) aprirsi a diverse letture.
La versione veneziana era di una retorica lancinante. Come una puntata di report fatta dal pubblico. Ma ormai chiunque può parlare e partecipare; e postare contenuti. L’artista arriva in ritardo.
Il punto non è dare a chiunque una matita e una parete bianca, questo lo abbiamo già tutti. Il punto è lavorare su i modi. E questo modo ultra-partecipativo crea solo una caos, da cui rimane solo il vuoto. Ricordo il Padiglione Italia di Sgarbi nel 2011.