“Manhattan is modern again”. Riapre il MoMA, il 20 novembre: la collezione d’arte contemporanea più grande al mondo torna nella sua sede originaria. E New York festeggia: centinaia di manifesti, uno slogan che –al di là della retorica “pubblicitaria”- ha il sapore di una vittoria annunciata.
Chiuso da qualche anno per restauri, il MOMA si era trasferito in un’ex fabbrica nel quartiere industriale di Queens, a Long Island. Da qui ha continuato la sua attività espositiva, presentando, però, solo una piccola porzione della preziosa raccolta. Il MOMAQNS ha chiuso i battenti a fine settembre, con una retrospettiva sulla pittrice americana Lee Bontecou e con la mostra di architettura Tall Building dedicata ai palazzi più alti del mondo.
Ed è una storia lunga –quella del MoMA- che inizia nel 1929, quando Lillie P. Bliss, Cornelius J. Sullivan e John Rockfeller Jr., decisero di fondare struttura culturale dedicata esclusivamente all’arte moderna. Originariamente l’istituzione era ospitata nella “Rockfeller Townhouse”, mentre il museo di Manhattan fu realizzato nel 1939 dagli architetti Philip Goodwin e Edward Durrel Stone. Nel corso degli anni l’edificio ha subito molteplici modifiche. I primi ampliamenti a partire dal ‘51, mentre risale al ‘53 la realizzazione dell’Abby Aldriche Rockfeller Sculpture Garden, il giardino di sculture adiacente al Museo, progettato da Philip Johnson. Un ampliamento piuttosto consistente fu poi realizzato dal Cesar Pelli nel 1984.
Il restauro attuale, costato 425 milioni di dollari, rimane però il più imponente della storia. Coordinato dall’architetto giapponese Yoshio Taniguchi, il progetto preserva la struttura preesistente e prevede un sostanzioso ingrandimento degli spazi. Un’ampia e luminosa hall, sospesa a circa 30 metri sul livello della strada, congiunge la 53rd e la 54th strada, consentendo l’apertura di due diversi ingressi e offrendo una suggestiva vista panoramica sul giardino di sculture. Taniguchi, mantenendo l’originaria struttura dello Sculpture Garden –“probabilmente l’elemento più caratterizzante del museo”– ristabilisce la terrazza rivolta a sud, per creare un patio outdoor. E’ qui che trova posto il raffinato ristorante, The Modern.
Lo spazio complessivo, che è stato quasi raddoppiato, conserverà i suoi sei dipartimenti: pittura e scultura, stampe e libri illustrati, disegni, architettura e design, fotografia ed infine film e media. Il piano terra ospiterà due auditorium per conferenze e incontri musicali, un secondo livello sarà dedicato alle videoinstallazioni, il terzo alla collezione fotografica, il quarto e quinto, infine, accoglieranno la collezione di scultura e pittura. Il tutto su una superficie di oltre 58 mila metri.
La collezione permanente è stata arricchita con opere di Doig, Richard Diebenkorn, Donald Judd, Jasper Johns, Alex Katz, Sol LeWitt, Gordon Matta-Clark, Julie Mehretu, Elizabeth Peyton e Andy Warhol. Tra i fotografi figurano, Robert Frank, Andreas Gursky, Jeff Wall e Gillian Wearing. E ancora Damien Hirst, Lucian Freud, Henri Matisse, Edward Ruschi; mentre tra le opere del settore design spicca la mitica Vespa, nella versione datata 1955. In vista dell’apertura sono state realizzate 13 nuove pubblicazioni, che sviluppano il tema “MOMA” in tutte le sue sfaccettature: dal progetto del nuovo museo, alla storia, all’approfondimento delle varie sezioni e così via. Un’attenzione speciale è riservata alle mostre temporanee.
Il menu del 20 novembre, attesissimo opening day, offre tre inaugurazioni, tutte dedicate –un pizzico di autoreferenzialità stavolta non guasta- al museo stesso. Open Shutter at the Museum of Moden Art, personale del fotografo americano Michael Wesely (1963) -conosciuto per la sua tecnica basata sullo scatto a tempi lunghi- racconta l’iter di ricostruzione del New Moma, seguendone le varie fasi, dal 2001 fino ad oggi. La seconda esposizione, Nine Museum, illustrerà l’attività progettuale di Yoshio Taniguchi, concentrandosi sulla sua ricerca dedicata agli spazi museali. Infine, Project 82: Mark Dion, Rescue Archeology raccoglie una serie di oggetti –reperti emersi dagli scavi che hanno preceduto i differenti restauri- collezionati negli anni dall’artista americano Mark Dion (1961), suggerendo una forma di avvincente e inconsueta archeologia contemporanea.
Dallo scorso martedì sono iniziati i festeggiamenti, con un party che ha visto la partecipazione di numerosissimi artisti, fra cui Ellsworth Kelly, Brice Marden, James Rosenquist, Rachel Whiteread e Filip Noterdaeme. Quest’ultimo, fondatore dell’Homless Museum, si è aggirato per le sale del museo distribuendo dei flyer con la scritta: “Manhattan Is Robbed Again”. Una densa polemica si è, infatti, accesa a causa del costo del biglietto, che intero è di $ 20. Il direttore Glenn D. Lowry taglia corto: “We’re in a country where there is a cost for culture.” Inevitabile però che il pensiero vada a chi ha finanziato il progetto, ovvero IBM, J.P Morgan Chase & Co., Ford Motor, Sony e non ultimo il super patrono David Rockefeller. Non c’è da preoccuparsi, però, visto che per sabato 20 novembre, giorno in cui è prevista l’apertura al pubblico, l’ingresso sarà gratuito, nonostante, gli stessi addetti ai lavori sconsiglino la visita, a causa dell’ovvio sovraffollamento.
Un “museo-laboratorio” ama definirlo il Lowry. Un organismo complesso, che continua a cambiare pelle. Un museo che sfiora il mito. E che dell’interazione dinamica tra pubblico, opere d’arte ed architettura sembra aver fatto il suo tratto distintivo.
tiziana di caro
prima foto: Meret Oppenheim. Object (Le Déjeuner en fourrure). 1936. Fur-covered cup, saucer, and spoon. The Museum of Modern Art. Purchase. © 2004 Artists Rights Society (ARS), New York/Pro Litteris, Zurich. Photocomposition: Print International. Photo: Matthew Septimus
per le altre immagini: photo credits Digital Images © 2003 Kohn Pedersen Fox Associates
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