Freme, Berlino. Sta per raggiungere un traguardo importante. Presto, per i mondiali di calcio, sarà sotto gli occhi di tutti. Per questo si rifà un make-up frugale (il comune è ufficialmente in bancarotta) e si finge capitale-cantiere come quella che fu per i dieci anni successivi alla caduta del muro. Ma, a Berlino, c’è chi oggi freme per ben altri traguardi. Si tratta sicuramente di una netta minoranza rispetto all’intrepida comunità di fanatici del pallone, una nicchia che rappresenta, però, una delle pochissime voci in attivo della squattrinata capitale tedesca: i professionisti e gli appassionati dell’arte contemporanea. Stanno aspettando da ormai un anno e mezzo, da quando l’associazione Berlin Biennale ha ufficialmente presentato ai Kunst Werke il team di curatori per la (così amano chiamarla) bb4: Maurizio Cattelan, Massimiliano Gioni e Ali Subotnik. Dopo l’edizione cervelluta e impegnata di Ute Meta Bauer, l’associazione vira violentemente puntando sulla famosa triade. L’attesa sta per finire. La Biennale apre ufficialmente i battenti questa settimana, sabato 25 marzo (con inaugurazione per gli addetti ai lavori venerdi).
Alla presentazione dei tre curatori, la paura immediata è stata quella di credere che questi “alieni” finissero per piombare sulla città rimanendo estranei al suo ricchissimo tessuto artistico. I tre hanno saputo mettere subito a tacere i detrattori con una piccola (ma fruttuosa) iniziativa: la collaborazione con zitty, la rivista cittadina per eccellenza. Per un anno intero e con scadenza pressoché settimanale, hanno firmato interviste con artisti che vivono e lavorano a Berlino.
In questo modo, hanno cominciato a conoscere personalmente chi rende la scena berlinese così vivace e, allo stesso tempo, saputo arrivare ad un pubblico non necessariamente interessato all’arte, quindi più vasto. Sono poi iniziati i soggiorni (e relativi avvistamenti) berlinesi. Decisamente poco presenzialisti, Cattelan, Gioni e Subotnik si potevano incontrare tanto nelle gallerie celebrate da tutti quanto in quelle conosciute da pochi, negli studi di svariati artisti (affermati e non) o anche semplicemente a pranzo alla Locanda Pane di Ackerstrasse. Poi l’annuncio di circa un mese fa. Teatro della Biennale sarà esclusivamente Auguststrasse. È una strada lunga poco meno di due chilometri, stretta, dissestata, punteggiata di palazzi che sono miracolosamente scampati ai bombardamenti, orrori in cemento armato firmati DDR, ristorantini, giornalai, negozi di fiori e biciclette. È il fascinoso vecchio cuore (o quel che ne rimane) di Berlino. Ma è anche, con la parallela Linienstrasse, uno degli epicentri della scena artistica cittadina. A pochi passi l’una dall’altra, si possono visitare gallerie come Eigen & Art, neugerriemschneider, Klosterfelde, Kicken, Barbara Wien o Contemporary Fine Arts, centri d’arte come i Kunst Werke o il c/o Berlin, la collezione Hoffmann.
Ma per la loro biennale, Cattelan, Gioni e Subotnik hanno dichiaratamente optato per la provvisorietà berlinese. I Kunst Werke rimangono l’unica istituzione nel programma. Tutto il resto si svolgerà in alcuni luoghi sporadicamente adibiti a spazi per l’arte (come la chiesa di San Giovanni Evangelista o le stalle delle vecchie poste), in una scuola abbandonata e in molti, moltissimi appartamenti disabitati.
In questi giorni su Berlino splende il sole. Un’ovvietà, per chi non conosce il rigore dell’interminabile inverno berlinese. La gente si gode il tepore sonnecchiando sulle panchine dei parchi o ai tavolini di un bar. Anche la Auguststrasse si presenta così, un po’ assopita. Eppure alla Gagosian Gallery è tutto un via vai di scale, pittura, opere imballate. Ai Kunst Werke qualsiasi porta d’accesso è blindata. Solo un montacarichi, gelosamente custodito da un simpatico operaio dal marcato accento berlinese, è spalancato. All’entrata, un cartello informa che l’istituzione sarà aperta da sabato con tante scuse per l’inconveniente. La galleria Eigen + Art, dirimpettaia dei Kunst Werke, inaugura il giorno della Biennale e le tele di Matthias Weischer poggiano già sul polistirolo blu. Aspettano solo d’essere appese. Le scale di tutti i numeri civici che la Biennale occuperà sono serrati. Alle vecchie poste si entra senza intoppi dal cancello posteriore; il guardiano preferisce prendere il sole con una birra in mano. Parcheggiata c’è qualche BMW ufficiale con “von Mäusen und Menschen”, il titolo in tedesco del romanzo di Steinbeck (nonché il titolo di questa bb4), sulla fiancata. Le stalle sono l’unica parte restaurata delle vecchie poste, sulla sinistra. Il portone è aperto ma non si vede un granché.
L’ultima tappa è la chiesa di San Giovanni Evangelista. Quella è comunque sempre chiusa, a meno che non ci sia una messa, un concerto o una mostra. Sulla bacheca esterna si leggono gli orari delle funzioni e, di fianco, l’annuncio che, per i prossimi mesi, la chiesa sarà sede della Biennale. Il nome di Cattelan è di fianco a quello del parroco che ha celebrato la messa il 18 marzo. Si sbuca sull’Oranienburgerstrasse. Qui la gente va un po’ più di fretta. Stanno rifacendo il Diesel Wall. L’unica cosa spettacolare sono le gru da dove gli operai dipingono le enormi scritte, per ora illeggibili. Anche volendo, tocca aspettare ancora un po’. Almeno sino a sabato.
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