Dopo anni di preparativi,
finalmente è andato in porto il progetto
First Chongqing Biennale for Young
Artists all’interno del secondo appuntamento del Festival culturale di Chongqing promosso
dall’amministrazione pubblica della città.
I 6mila mq del Chongqing International Exhibition Center
hanno ospitato i lavori di oltre 200 artisti, fra pittura, scultura,
fotografia, installazioni e arte multimediale. L’evento, curato dal professore
e vice-direttore della Sichuan Fine Art Academy, Wang Lin, aveva per tema un generico
Art and Cultural Vision at Moment: “
Guardando a tutto lo sviluppo della civiltà umana,
l’indagine, specialmente se condotta dai giovani, ci fornisce un nuovo punto di
vista per osservare il mondo reale e il nostro futuro”.
La Biennale si è articolata in più eventi. Oltre alla
mostra principale, nella programmazione sono stati inseriti tre eventi tenutisi
nel distretto artistico di Jiulongpo: la mostra fotografica
Urban Records, progetto di Fu Wenjun; un
interessante scambio con la Germania,
Contemporary Installation Art – Reality
in Mirror, a cura
di Liu Lang; l’esposizione, poco dignitosa, delle opere di giovani studenti e
insegnanti presso il Chongqing Art Museum, all’interno del campus
dell’accademia.
Nonostante alcuni lavori meritevoli nella sezione
sino-tedesca, come quelli presentati da
Johnny e Danny Ma, tutto sommato la cosa più
interessante e affascinante in quest’area, in realtà, è stata proprio il
distretto in sé e la sua storia. La famosa Accademia di Belle Arti del Sichuan,
infatti, ha sede nella struttura di un’ex-fabbrica dismessa di carri armati. A
testimonianza del fatto rimane il nome “
tank”, che identifica la zona e un
carro superstite posto all’ingresso principale dell’istituto. Oltre
all’accademia e al campus universitario, il distretto comprende vari palazzoni
di studi artistici, come il 501 e il 102.
Tutt’intorno, su ideazione dell’artista
Luo Zhongli – uno dei più rappresentativi
della corrente realista di Chongqing -, il governo ha invitato gli artisti
locali a decorare gli edifici e i muri. Il risultato è un’esplosione di colore
che, in una città proverbialmente grigia e nebbiosa, lascia a dir poco sorpresi
e disorientati. La sensazione è quella di trovarsi in un’altra dimensione,
proiettati in un immaginario sobborgo anarchico e autogestito da divertenti
street artists.
L’entusiasmo, tuttavia, risulta in netta contrapposizione
coi noiosi lavori selezionati per la Biennale. La mostra principale, priva di
un vero e proprio piano curatoriale, esibiva in modo caotico e approssimativo
una serie di opere di poco conto, tanto da creare un divario quasi imbarazzante
nei confronti dei pochi, ma eccezionali, lavori in mostra.
I direttori dell’italo-pechinese
offiCina beijing,
Monica Piccioni e Rosario Scarpato, hanno proposto due
artisti con cui collaborano da tempo: l’inglese
Kiran Kaur Brar e l’italiano
Girolamo Marri. I due video performer hanno
presentato rispettivamente
Asian Babe (2009) e
Come have your picture taken standing on a
westerner (2008),
lavori che li vedono confrontarsi in prima persona con la cultura locale. Kaur
Brar s’identifica in una comune ragazza cinese che sfila per un parco di
Shanghai, mostrando il proprio curriculum nella speranza di concludere un buon
affare matrimoniale. Mentre Girolamo Marri continua la sua difficile ricerca di
equilibrio nei rapporti fra Est e Ovest: invitando i locali a calpestare il
proprio corpo, offre loro la possibilità di vendicarsi dei soprusi subiti dall’imperialismo occidentale, ridefinendo posizioni e ruoli,
nella speranza di una tacita assoluzione.
Frutto di un impegno più consapevole e professionale sono
la nuova animazione di
Zhang Xiaotao e alcune installazioni particolarmente originali e
affascinanti che da sole valgono e rivalutano la Biennale. Tra queste, i lavori
di
Xing Xin e
Tao
Aimin, e le
“interferenze” come quella sonora di
Cheng Guangfeng, un tentativo ben riuscito di
tradurre i precedenti studi di musica sperimentale in arte visiva, nonché la
ricerca di
Chen Youtong, che tramite l’interazione di micro-organismi è in grado di creare
composizioni esteticamente affascinanti.
Nell’immenso
territorio cinese ci sono circa otto biennali principali. Questa di Chongqing
ha il merito di focalizzare l’attenzione sulla promozione di nuovi talenti e di
svilupparsi in una città-mercato ancora molto giovane. Per questo, nonostante
le molte pecche, è stata comunque una biennale coraggiosa e fresca, su cui c’è
ancora molto da lavorare e molto potenziale artistico da sviluppare.