Forse in questa boutade sta la
chiave di comprensione della mostra: presupporre che la realtà sia riconducibile
a una sua sola parte e sulla base di questa ricostruire l’immagine e
l’immaginario che la connotano. Ed è forse per questo che la mostra, pur
fornendo spunti interessanti, non convince, e soprattutto non tiene nelle sue
parti: non si capisce bene la relazione fra arti visive e visione della città,
non si capiscono vari passaggi (per esempio quello tra l’analisi del finto di Diane
Arbus e
l’archeologia urbana di Stéphane Couturier), non si capisce in che termini quella di Pierre
Huygue è una
critica di certa utopia urbana.
Dreamlands propone al pubblico una relazione
tra i parchi d’attrazione, le esposizioni internazionali, una componente
visionaria che esiste nella tradizione architettonica e urbanistica. Vi sono
poi esempi di come l’arte si intreccia a queste dimensioni (per esempio le
avanguardie e per esempio il surrealismo e per esempio Salvador Dalí). Si tratta di una modalità espositiva
abituale al Centre Pompidou di Parigi, che spesso produce risultati interessanti.
Ma il modo in cui Dreamlands mostra la presunta connessione
tra parchi di divertimento, esposizioni universali e visione dello sviluppo
urbano sembra veloce quanto sdrucciolevole. Così come ricondurre questi
passaggi solo all’esistenza di una società dello spettacolo e del tempo libero,
che avrebbe ormai imbevuto la cultura. Del resto, per tornare alla relazione
tra Parigi e la Francia, non è così chiaro che la nostra sia a tal punto
pienamente una società del tempo libero, anche tra le persone che svolgono
attività culturali.
La mostra poi propone passaggi
interessanti nella relazione tra arte e società nel Novecento e può essere
stimolante seguire come si sia arrivati a manifestazioni socio-artistiche come
le immagini di Martin Parr o gli interventi di Maurizio Cattelan.
Possiamo però da ciò passare a
dire che questi passaggi sono ciò che oggi succede alla visione del mondo e
dell’abitare? Che la città vive una metamorfosi ludica che è anche quella della
cultura? Che la realtà urbana è ormai una riproduzione di quella delle fiere e
dei parchi giochi? È più plausibile l’inverso: i parchi giochi e le aree
ludiche tendono a riprendere la storia del mondo e della città, per ridurlo a
icona e venderlo.
E perché la mostra inverte questo
passaggio nodale? Perché esiste una tendenza nella fenomenologia delle arti e
del lavoro intellettuale che promuove la riduzione della realtà a pochi suoi
elementi, facilmente controllabili e vendibili. Ma questa tendenza non soltanto
non esaurisce la realtà, ma nemmeno la fenomenologia del lavoro intellettuale.
Come dire: la Torre di Pisa esiste da secoli e, seppur venduta a turisti in
riproduzioni worldwide, non coincide con le sue riproduzioni. Né la Tour Eiffel
resta se stessa una volta riprodotta in un deserto o altrove (né una Ferrari
riprodotta, con o senza motore, è ancora una Ferrari).
Si tratta di una tendenza che
valorizza gli aspetti più commerciali della realtà urbana e li definisce
popolari, compiendo un’ulteriore operazione ambigua: è vero che il popolo
frequenta i mall,
ma ciò non significa che li abbia chiesti; in genere li ha subiti da persone
tutt’altro che popolari, anche se a loro volta frequentatrici di mall.
vito calabretta
mostra visitata il 2 agosto 2010
dal 5 maggio al 9
agosto 2010
Dreamlands
a cura di Didier
Ottinger e Quentin Bajac
Centre Georges Pompidou
Place
George Pompidou – 75004 Paris
Orario:
da mercoledì a lunedì ore 11-21; giovedì ore 11-23
Ingresso:
intero € 12; ridotto € 9
Catalogo
disponibile
Info:
tel. +33 0144781233; www.centrepompidou.fr
[exibart]
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Ma cosa c'entra l'ordine di causa effetto? Non ci sono mica verità "fisiche" in ballo. Che le città stiano diventando parchi giochi poi é proprio vero (poi é ovvio che ci si abita).