04 aprile 2006

Rundgang in Berlin

 
Ovvero, a zonzo per le gallerie berlinesi. In occasione della quarta biennale della città teutonica, inaugurano (quasi) tutte le gallerie della città. Con proposte diversificate e complementari. Con alcuni assenti eccellenti...

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È stato l’ufficio di coordinazione del programma esterno alla Biennale ad invitare calorosamente tutte le gallerie berlinesi ad inaugurare le proprie mostre nei giorni dell’apertura ufficiale della bb4. Secondo quanto scritto nel gradito messaggio di posta elettronica, lo stesso ufficio si sarebbe poi incaricato di renderle note alla stampa accreditatasi ai KunstWerke. La risposta non si è fatta attendere, sebbene le strategie adottate si siano rivelate eterogenee.
Le gallerie di Holzmarktstrasse hanno inaugurato tutte insieme (come di consueto) una settimana prima della Biennale. Si tratta di un polo di gallerie che s’è gradualmente insediato sotto le arcate della metropolitana esterna, sfruttandone al meglio gli originali spazi. Sebbene la zona sia un austero connubio di Plattenbauten e stazioni di servizio, BüroFriedrich, carlier | gebauer, c/o Atle Gerhardsen, Max Hetzler II e Mehdi Chouakri hanno reso quei cinquecento metri lungo il fiume una passeggiata obbligatoria per chiunque s’interessi all’arte. Solo le porte di Mehdi Chouakri sono rimaste chiuse. Il suo trasferimento nei nuovi spazi degli Edison Höfe (vicini all’Hamburger Bahnhof, inaugurati il 25 marzo) è stato ampiamente pubblicizzato.
Spiccano in Holzmarktstrasse il cinese Zhou Zixi (1970) da BüroFriedrich e il brasiliano Pablo Pijnappel (1979) nella nuova, terza arcata di carlier | gebauer. Nei suoi Interiors, Zhou Zixi descrive olio su tela la trasformazione che sta interessando la società cinese, ai suoi occhi un’assurda commistione di comunismo e capitalismo della quale i suoi esilaranti nouveaux riches diventano l’emblema. Pijnappel, invece, racconta con delle diapositive una storia lunga quasi un secolo. È un lavoro certosino in cui include foto della sua famiglia e d’archivio. Parla d’immigrazione e di ricerca della propria identità, di vittorie e sconfitte.
Olafur Eliasson, Your waste of time, 2006 6 - photo: Jens Ziehe, courtesy neugerriemschneider, Berlino
La “voce narrante” intreccia vite raccontandone aneddoti quasi meccanicamente; racconta un’eredità tramandata oralmente in cui la memoria è traviata da inclusioni ed omissioni di chi ha raccontato prima la storia.
Gli altri raggruppamenti di gallerie non si presentano compatti, un vero peccato per chi deve sprintare da una parte all’altra della città. Le gallerie sembrano dar retta ad innumerevoli variabili, quali la (non) vicinanza ad Auguststrasse, il buon nome della propria galleria o dell’artista presentato. Per esempio, Nordenhake, nella zona di Zimmerstrasse, di fianco al famigerato Check Point Charlie, ha inaugurato una settimana prima della Biennale e di tutte le dirimpettaie (Ardnt und Partner, Max Hetzler, Klosterfelde) con un’interessante mostra sulla giovane scultura svedese: un’esposizione non appariscente dove spicca Patterns of failure, una fragile colonna di Sirous Namazi (1970) fatta di cocci rotti in precario equilibrio l’uno sull’altro.
Neugerriemschneider e Wohnmachine hanno scelto di inaugurare giovedì 23 marzo, come la Gagosian Gallery di Cattelan, Gioni e Subotnik, il giorno della preview della Biennale per la stampa. Da neugerriemschneider, Olafur Eliasson trasforma la sala espositiva della galleria in una perfetta cella frigorifera, nella quale conserva cinque enormi blocchi di ghiaccio arrivati direttamente da Vatnajökull (Islanda), una distesa di ghiaccio perenne di ben 8100 chilometri quadrati in grave pericolo: causa il cambiamento climatico globale, il ghiacciaio rischia di ridursi di un quarto in poco meno di cent’anni. Plakativ, direbbero i tedeschi.
Pablo Pijnappel, Felicitas, Three synchronised slide projections 80 slides, loop - courtesy carlier | gebauer, Berlino
Ostentato, ovvio. Ciò nonostante, il lavoro suggestiona, è terribilmente contemplativo. Il pungente freddo della sala espositiva non aiuta e, data l’aria festosa e un po’ frivola, il pubblico preferisce affollare la zona-chiacchiere. La Wohnmachine opta per Alec Zoth (1969) e la sua solida serie fotografica Niagara. Il mito moderno dell’amore e del “e vissero felici e contenti” si scontra con immagini del quotidiano statunitense. La Gagosian, un minuscolo spazio espositivo, è già affollata. Un nutrito gruppo di giornalisti, fotografi e cameramen bloccano il passo per intervistare i curatori, rendendola ancora più inaccessibile.
Venerdì 24 marzo la Biennale inaugura ufficialmente, l’accesso è (quasi) libero e, della silenziosa, assonnata Auguststrasse, non c’è più traccia. Una folta babele si muove organicamente da un numero civico all’altro, visitando il visitabile. Klosterfelde Linienstrasse (la galleria originale, molto piccola ed incline alla sperimentazione rispetto al secondo spazio, più tradizionale, di Zimmerstrasse) è l’unica galleria che ha il coraggio di scontrarsi con il titano. Lo fa presentando Wrong, una mini-biennale in 20 metri quadrati curata da Jens Hoffman. John Cage, John Baldessari, Georg Baselitz, Maurizio Cattelan, Tino Sehgal, Thomas Demand, Martin Kippenberger, Fischli & Weiss, John Bock, Jonathan Monk, Karsten Höller, Rodney Graham, Marcel Duchampe Angela Bulloch sono solo alcuni dei nomi di questa collettiva. Tino Sehgal arriva in bicicletta a controllare che la sua opera stia bene; è svenuta e rinvenuta, come da copione, già una decina di volte…
Sabato 25 marzo, dopo la non riuscitissima festa della Biennale alle vecchie poste, comincia un altro, immenso giro di gallerie. Eigen + Art apre con la personale di Matthias Weischer. La galleria continua ad avere quel suo intenso profumo di colore ad olio. Le tele di Weischer, poche ma impeccabilmente esposte, sono oggetti da esibire senza cornice: gli spessi strati che vanno, poi, a comporre l’immagine finale sono già un’opera in sé.
Erik van Lieshout, exhibition view at Arndt & Partner Berlin, Courtesy Arndt & Partner Berlin / Zurich
Arndt & Partner inaugura, invece, con degli enormi disegni di Erik van Lieshout. Sono schegge sature, precise ma veloci, di un viaggio nella Germania più problematica: Chemnitz, Rostock… Sono fissate su carta ed invadono lo spazio espositivo, sino al soffitto. Il Pavillion di Dan Graham da Johnen sembra essere stato fatto appositamente per il singolare spazio della galleria ed il dissestato e difficile quartiere che la ospita. Questa volta non è solo il visitatore ad essere esibito interagendo con il padiglione, ma è anche lo stesso quartiere (e chi ci vive) che, attraverso le grandi finestre della galleria, si riflette sulle superfici a specchio dell’opera; è un chiaro invito ad entrare.
All’appello mancano molte gallerie, una fra tutte quella di Johann König. Lavori in corso. La giovanissima (ma già molto conosciuta) galleria sta traslocando in questi giorni da Mitte a Potsdamer Plazt. Sarà la prima galleria ad aprire nella controversa piazza. Succederà il 28 aprile, con una collettiva in cui sono inclusi tutti gli artisti della galleria ed in occasione di un altro evento tutto berlinese: il fine settimana delle gallerie aperte. Per chi ha ancora voglia di venire a Berlino, naturalmente.

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micaela cecchinato

[exibart]



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