È a questa antica cittadina della Westfalia che tocca di chiudere -idealmente, ma anche praticamente, essendo l’ultima a inaugurare in ordine di tempo- lo sfiancante Grand Tour dell’estate 2007. Ed è quindi inevitabile che alla sera, davanti all’ennesimo piatto di crauti, ti venga spontaneo abbozzare un primo bilancio, accettando acriticamente la semplificazione pubblicistica che ha messo in fila Biennale – Documenta e Skulptur Projekte. E la conclusione è che ci si trovi di fronte ad una preoccupante, diffusa ed inesorabile crisi del ruolo curatoriale. Il discorso sarebbe ampio, e partirebbe da ancor più lontano (da certi segnali dell’ultima Biennale di Siviglia targata Enwezor, per fare un esempio). E porterebbe a dire che la potenza comunicativa di ciò che oggi ci aspetta in questi eventi artistici, la grande “massa espressiva” sempre più accresciuta dall’allargamento disciplinale e dall’integrazione ormai compiuta di nuove realtà portatrici di istanze intense quanto spontanee (Cina, India, paesi africani) tenda a respingere ogni ipotesi di “governo”, avendo facile agio sui diversi tentativi di indirizzo e ordinamento. Scelte curatoriali deboli, inadeguate, impalpabili. “Non scelte” più che scelte sbagliate, o discutibili.
Ma poi torni ai tuoi crauti, e pian piano rifletti di quanto in realtà l’evento di Münster sia disomogeneo agli altri. Ti rendi conto che qui da trent’anni le pedine le muove quel Kasper König, direttore del museo Ludwig di Colonia, che lo Skulptur projekte se lo inventò -assieme a Klaus Bussmann- nel ‘77, e che firma anche questa quarta edizione, con Brigitte Franzen e Carina Plath. Ti rendi conto che più che una rassegna temporanea ed effimera, inserita quindi nelle dinamiche e nel “mercato” critico, a Münster c’è un vero e proprio -dichiarato- museo a cielo ape
Vocazione che rimane anche in questa edizione 2007, che -chiariscono i curatori in catalogo- “reindagherà ciò che la scuItura contemporanea può essere oggi, come si articola a livello mediale, sociale e artistico, e la sua influenza sulla nostra comprensione dello spazio pubblico”. Trantaquattro artisti che distendono i loro interventi veramente su tutto il tessuto urbano, presentando una fotografia della scuItura contemporanea che sposa appieno l’idea di “campo allargato” introdotta da Rosalind Krauss, scultura che “si nutre della convinzione che ciò che era non basta più, perchè poggiava su un mito idealista. Cercando di scoprire ciò che è, o almeno cosa può essere, la scultura si è servita del teatro e in particolare del suo rapporto con il contesto dello spettatore come di uno strumento per distruggere, indagare ericostruire”. Bando quindi all’idea accademica di scultura come materia che si dispone nello spazio, a farla da padroni sono video, installazioni, happenings, interventi che a volte aggiornano un certo spirito provocatorio e contestatario di matrice surrealista. Che in certi casi risultano irrimediabilmente datati. Come nel caso di Michael Asher, che fin dalla prima edizione del 1977 porta a Münster una roulotte, che ogni lunedì -a mostra chiusa- parcheggia in un luogo diverso. Un taglio che in qualche caso introduce dei paradossi, come nel caso di Drama Queens di Elmgreen & Dragset, che allestiscono un’animazione teatrale dove sculture storiche -per
“Un esercizio nel caos organizzato, come un vecchio film di Fellini”, come ha scritto Jerry Saltz sul New York Magazine.
massimo mattioli
mostra visitata il 26 giugno 2007
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Forse Jerry Saltz dovrebbe occuparsi di pittura e meno di comparazioni cinematografiche. Chiamare la poetica felliniana, un caos organizzato aggiungendo il termine 'vecchio film', è una cosa indecente. Ma si sa, gli italiani non contano poi molto e di converso anche le imprecisioni sui nostri miti trovano giustificazione, soprattutto negli USA, attraverso esemplificazioni terminologiche raffazzonate.
ve lo meritate Alberto Sordi, ve lo meritate!