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Da Roma alla Spagna e ritorno: gli affreschi di Annibale Carracci in mostra a Palazzo Barberini
Arte antica
Un ciclo di magnifici affreschi dalla illustre paternità – staccati da una chiesa romana caduta in disgrazia e finiti in ombra nei magazzini del Prado di Madrid – oggi torna al centro dell’attenzione. È questa la storia che vuole raccontare la mostra “Annibale Carracci. Gli affreschi della cappella Herrera”, inaugurata recentemente alle Gallerie Nazionali di Arte Antica nella sede di Palazzo Barberini, a cura di Andrés Úbeda de los Cobos, vicedirettore del Museo del Prado, laddove l’itinerario espositivo ha avuto la sua prima tappa a marzo, anticipando la seconda, allestita presso il Museu Nacionale d’Art de Catalunya.
«Qui si conclude il progetto che riunisce per la prima volta, dopo quasi duecento anni, gli affreschi realizzati a Roma da Annibale Carracci per la cappella di famiglia del banchiere spagnolo Juan Enriquez de Herrera», ha spiegato Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma. Si tratta di una cappella ubicata all’interno della chiesa romana di San Giacomo degli Spagnoli, ora nota con il nome di Nostra Signora del Sacro Cuore, situata nel rione Parione, tra corso Rinascimento e piazza Navona. Fino all’Ottocento luogo di grande prestigio, proprio per la qualità artistica degli affreschi che vi si trovavano oltre che per l’influenza degli spagnoli a Roma.
«Fu nel 2011, quando ero ancora curatore della pittura italiana al Prado, che ho cominciato ad avviare un lavoro di ricerca e di restauro di questi affreschi», ricorda Andrés Úbeda de los Cobos, sottolineando come ricostruire la storia di questo ciclo parietale abbia messo in luce i legami tra i pittori bolognesi del seicento romano. Assieme al Carracci infatti si riconoscono fra gli altri, il tocco del Domenichino e di Francesco Albani. Quella rosa di grandi maestri sorti dall’Accademia dei Desiderosi o degli Incamminati che all’alba del VXII secolo trassero le fila dei loro celebri predecessori cinquecenteschi.
La mostra romana di Palazzo Barberini raccoglie – oltre a una selezione di disegni e una video su iconografia, autori e restauro – la ricostruzione a grandezza naturale della cappella Herrera, entro la quale i 16 affreschi protagonisti sono collocati secondo l’ordine originario. Pareti e soffitto della Sala Marmi accolgono ovali, mezzelune e immagini trapezoidali entro nicchie precise, consentendo al pubblico di capire quale fosse la prospettiva del fruitore del tempo.
Sebbene non si abbiano notizie dello stato di conservazione degli affreschi quando, nel 1830, furono staccati dalla cappella romana, una loro attenta disamina permette di comprendere quali fossero le dinamiche del cantiere messo in piedi per la loro realizzazione ed anche di mettere a fuoco un momento fondamentale per la storia della pittura italiana: il passaggio dall’ultimo Carracci al primo Albani.
Le biografie di Bellori e Malvasia raccontano di un delicato aneddoto secondo cui Sisto Badalocchio, partecipe dell’impresa Herrera, non fu ritenuto all’altezza dell’opera dal maestro Annibale che incaricò Albani di cancellare i suoi contributi agli affreschi. Albani però, non volendo umiliare l’amico Sisto, ne corresse soltanto gli snodi più grossolani, passandoci sopra col pennello. Tanto che in ogni frammento, perfino nella pala d’altare, sembrano riconoscersi mani diverse.
D’altronde la volontà del Carracci, in antitesi con l’individualismo pittorico odierno, era tesa proprio a una omogeneità pittorica in virtù della quale i tratti del singolo dovevano convogliare in un’armonia d’insieme. Una congettura è che il maestro ritoccasse ogni affresco, per un finissage volto alla resa di uno stile collettivo.
Secondo alcuni carteggi, nell’Ottocento – dopo che gli affreschi subirono la delicata operazione di strappo – gli spagnoli caldeggiarono la necessità di conservarli riuniti, per poter vedere e studiare la pittura bolognese, così ricca di storia, dettagli, velature e suggerimenti in filigrana.
In continuità con quel minuzioso interesse la mostra di Palazzo Barberini rappresenta una grande svolta, anche solo rispetto agli studi che negli anni ’70 del Novecento, che lamentavano la distruzione degli affreschi Herrera e l’impossibilità di conoscere gli ultimi lavori del grande maestro Annibale Carracci.