Per la prima volta nella sua storia, il Musée du Louvre di Parigi dedica un’intera esposizione a Cimabue, uno dei più influenti artisti del XIII secolo. Nato intorno al 1240 e morto nel 1302, considerato da alcuni un precursore della grande rivoluzione pittorica occidentale, Cimabue è stato a lungo oscurato dalla fama dei suoi allievi e successori, primo fra tutti Giotto. Tuttavia, l’esposizione promette di portare alla luce innovazioni talmente significative da rilanciare il dibattito sul fatto che possa essere considerato il vero “padre” del Rinascimento italiano.
La mostra prende le mosse da due eventi chiave per il museo parigino: il restauro della celebre Maestà e l’acquisizione di una tavola riscoperta in Francia nel 2019, il Cristo deriso, ora riconosciuto come patrimonio nazionale francese. Queste due opere, restaurate nel corso del 2024, costituiscono il fulcro dell’esposizione, che riunisce circa 40 lavori, tra dipinti e altre testimonianze della scuola pittorica del tempo.
Alta più di quattro metri, realizzata intorno al 1289, la Maestà raffigura una Madonna col Bambino in trono circondata da angeli, con apostoli, santi e altre figure inserite nella cornice originale. Si trovava nella chiesa di San Francesco a Pisa, venne menzionata per la prima volta dall’artista Giorgio Vasari nelle sue Vite e giunse al Louvre tra il 1812 e il 1813, dopo essere stata saccheggiata dall’Italia dalle truppe di Napoleone.
In Italia un’altra importante Maestà di Cimabue – sempre a tempera su tavola – è quella di Santa Trìnita, databile tra il 1290 e il 1300, conservata agli Uffizi di Firenze. Ad affresco fu invece realizzata la precedente Maestà di Assisi, che si trova nella basilica inferiore di San Francesco. Anche questa opera è stata recentemente restaurata, scoprendo, tra l’altro, il disegno preparatorio e dettagli inediti del volto di San Francesco, in cui si colgono un’intensa umiltà e devozione.
Come riportato da The Art Newspaper, gli interventi di pulitura e di analisi sulla Maestà del Louvre hanno messo in evidenza un uso pionieristico delle ombreggiature per modellare i volumi, un’attenzione inedita alle posture naturali e un profondo studio delle emozioni umane. Questi elementi mostrano come il Maestro fosse riuscito ad andare ben oltre la tradizione bizantina dominante all’epoca, per aprire la strada a una rappresentazione più realistica e orientata alla tridimensionalità, prefigurando la prospettiva rinascimentale. È il caso, per esempio, della trasparenza che rivela la gamba del bambino Gesù attraverso la parte inferiore delle sue vesti.
Grazie all’uso di tecnologie all’avanguardia, sono stati ripristinati anche dettagli fondamentali che, nascosti dal tempo, hanno alterato radicalmente la comprensione dell’arte di Cimabue: il mantello scuro della Vergine è stato scoperto essere di un vivido blu cobalto, il rosso opaco del mantello di un apostolo è ora di un rosa scintillante. Sono state scoperte figure completamente nuove nei tondi della cornice originale: il francescano Sant’Antonio da Padova, trasformato a un certo punto in una santa donna, è ora ricomparso in basso.
Ma le rivelazioni emerse con ai restauro stanno iniziando a rimodellare anche la comprensione del mondo in cui visse e interagiva Cimabue, sottolineando il suo legame con l’arte islamica. Ad esempio, sulla cornice interna è stata trovata una scrittura pseudo-araba, coperta nel XIX secolo, realizzata con mercurio e stagno. «Pensavamo che Giotto fosse il primo a usare questo tipo di pseudo-scrittura e a usare questa rara tecnica, e ora è arrivato un nuovo pezzo del puzzle», ha commentato Thomas Bohl, responsabile del Dipartimento di pittura del Louvre e curatore della mostra, che ha coordinato il lungo lavoro di ricerca e restauro in collaborazione con vari specialisti italiani e francesi.
Dopo un’introduzione sul contesto della pittura toscana (con un’attenzione particolare a Pisa) a metà del XIII secolo, la mostra riserverà dunque ampio spazio alla Maestà che, tornata al suo splendore originario, rivelerà una palette cromatica ricca di sfumature e una moltitudine di dettagli prima coperti da interventi successivi.
Un’altra sezione cruciale dell’esposizione riguarda il rapporto fra Cimabue e Duccio di Buoninsegna, tradizionalmente indicato come il primo maestro della scuola senese, soffermandosi in particolare sul dittico a otto pannelli di Cimabue. Il Louvre presenterà, in via straordinaria, i tre elementi superstiti di quest’opera. La libertà narrativa e la brillantezza dei colori mostrano un importante precedente per la successiva Maestà di Duccio, capolavoro della scuola senese del XIV secolo. Secondo gli studiosi, questo dialogo a distanza tra i due maestri evidenzia come le innovazioni introdotte da Cimabue avrebbero plasmato la futura pittura italiana.
Il percorso espositivo si conclude con il grande San Francesco che riceve le stimmate di Giotto, realizzato qualche anno dopo la Maestà di Cimabue nella chiesa di San Francesco a Pisa. Giotto – insieme a Duccio – rappresenta la generazione di artisti che, ispirandosi al linguaggio pionieristico di Cimabue, avrebbe fatto compiere alla pittura un salto epocale.
Ma se finora la storiografia tradizionale aveva fissato l’inizio del Rinascimento italiano in Giotto o, più tardi, in Masaccio, le innovazioni pittoriche di Cimabue – ora più evidenti che mai – suscitano l’interrogativo su chi meriti davvero il titolo di “fondatore” di questa straordinaria stagione artistica. È un dibattito aperto, che la mostra al Louvre, visitabile dal 22 gennaio al 12 maggio 2025, arricchirà di elementi inediti.
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