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El Greco restituito. Il Prado riunisce per la prima volta i capolavori dispersi di Toledo
Arte antica
Per dare la misura della rilevanza artistica della nuova mostra al Prado ci basta affermare: «vale la pena di affrontare con temerarietà la coda all’ingresso!». E per chi è un minimo avvezzo al mondo dei musei, e sa quanto possa essere talvolta scoraggiante la folla all’esterno, questo è già tutto un dire.
La più importante committenza di El Greco a Toledo
Domìnikos Theotokòpulus è il nome di battesimo dell’artista che già a suo tempo era noto come El Greco, nato a Creta nel 1541 e, una volta giunto in Spagna, chiamato con un più semplice riferimento al paese di origine. La sua formazione avviene nelle principali città italiane: Venezia, Parma e Roma, dove entra in contatto con l’opera dei grandi pittori dell’epoca. Da Tiziano e Tintoretto impara l’uso libero e vibrante del colore, da Correggio e Parmigianino viene suggestionato nelle forme oblunghe e affusolate, e in Michelangelo scopre la monumentalità e la possenza della figura. Ospite a Roma del cardinale Alessandro Farnese, El Greco incontra Luis de Castilla, che intercede per lui presso il fratello Diego, decano della cattedrale di Toledo e influente mecenate.

Al suo arrivo, El Greco si trova in una delle città più ricche e vivaci della Spagna, e presto diviene l’artista di punta delle committenze religiose che fanno a gara per impreziosire chiese e conventi. Tra le tante richieste, il podio è occupato da due in particolare: la celeberrima Expoliatio, che ancora oggi fa bella mostra di sé nella Sacrestia della Cattedrale di Toledo, protetta dalla volta dipinta da Luca Giordano, e le pale d’altare per la chiesa conventuale di Santo Domingo el Antiguo. Proprio quest’ultime sono protagoniste della mostra visitabile nella galleria principale del Museo del Prado fino al 15 giugno.

Con l’Assunzione El Greco reinventa il modello tradizionale degli altari castigliani
Possiamo immaginare con quale senso di responsabilità e anche di devozione El Greco abbia affrontato l’esecuzione di un incarico tanto prestigioso, portato a termine nel 1579. Se la richiesta è molto elaborata, dal momento che si tratta di realizzare nove dipinti e cinque sculture, il risultato è tuttavia strabiliante. El Greco progetta un impianto del tutto diverso dai tradizionali retabli delle chiese spagnole, dal lessico goticheggiante, e caratterizzati da superfici scolpite e colorate, introducendo invece le novità dei modelli italiani che aveva studiato e ammirato negli anni precedenti.

Due pale laterali raffigurano l’Adorazione dei pastori e la Resurrezione, mentre al centro domina la colossale Assunzione. L’emozione di trovarsi davanti a quest’opera è tale che quasi bisogna ricordarsi di prendere fiato. Con i suoi oltre quattro metri di altezza, la tela domina il percorso di visita: al centro si staglia la monumentale figura della Vergine, scortata in cielo da una folla di angeli e con i piedi poggiati al di sopra di una tagliente falce lunare. Il suo sguardo è rivolto verso l’altro, a metà strada tra il solenne e l’estatico, e si dirige al di fuori della tela, in direzione della Trinità, che nel progetto originario occupava lo scomparto superiore dell’altare, e che qui viene invece presentata “ribassata” a pochi passi di distanza. In questa seconda tela, dalla grandiosa intensità, l’elemento protagonista è la luce, modulata con eccezionale disinvoltura e maestria, sulla falsariga dell’insegnamento dei pittori veneti. La figura del Cristo sorretto dal Padre è un chiaro riferimento alla statuaria di Michelangelo, mentre le mani affusolate degli angeli e i panneggi svolazzanti delle vesti sono caratteristiche immancabili del linguaggio di El Greco.

Una pittura devota, libera e carica di emozione
La mostra presenta tutte le opere che costituivano l’impianto della cappella, eccezion fatta che per il San Bernardo oggi nelle raccolte dell’Hermitage di San Pietroburgo in Russia, del quale si espone una riproduzione. Di particolare interesse è a nostro avviso la Resurrezione, originariamente collocata alla destra dell’altare, che mostra un Cristo dall’aspetto apollineo, slanciato e luminoso, posizionato al centro di una composizione vorticosa, in cui l’artista dipinge la scena con pennellate dense e furiose. La tela è esposta senza cornice, ed è pertanto interessantissimo osservarne i margini, dove si trovano i rapidi tocchi di colore che El Greco sembra aver “picchiato” sul canvas per diminuire la densità della pennellata o studiare le nuances, creando una sorta di composizione astratta. L’arte di El Greco è vibrante, espressiva e colma di pathos: stupisce ancora oggi la capacità dell’artista di emanciparsi dai registri classici e impostati della tradizione, per liberare sulla tela delle forme che sembrano disintegrarsi e i cui contorni sfumano in un tratto dipinto come a singhiozzo.

La riconciliazione delle opere dopo secoli di dispersione
Se oggi entrassimo nella chiesa di Santo Domingo El Antiguo di Toledo vedremmo l’altare e le mense laterali all’apparenza come El Greco li aveva progettati secoli orsono. Tuttavia, delle nove opere qui presenti, solo tre sono originali, le altre sono state invece sostituite da delle copie realizzate a partire dal 1830, quando inizia la dispersione delle tele. Il primo elemento che viene rimosso è proprio l’Assunzione, comprata da Sebastiano di Borbone, Infante di Portogallo e Spagna, che porta via con sé anche il San Bernardo e il San Benedetto. Seguono altri influenti acquirenti, come Ferdinando VII, che si aggiudica la Trinità, e negli anni a venire i dipinti circolano all’interno di musei, collezioni private e gallerie prestigiose, compresa la Galerie Durand-Ruel di Parigi, patinassima maison dei più moderni impressionisti come Renoir, Pissarro, e Degas. La mostra al Museo del Prado riunisce per la prima volta tutte le opere di El Greco per Santo Domingo, con rilevanti prestiti internazionali, tra cui l’Art Institute of Chicago, consentendo al pubblico e agli studiosi di ammirare dopo quasi due secoli uno dei più importanti cicli del Cinquecento spagnolo.