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Giotto torna a splendere nella Basilica di Sant’Antonio di Padova
Arte antica
di redazione
Le vesti luminose e preziose, il colore dell’incarnato e i chiaroscuri sui volti. Sono alcuni dei particolari della pennellata di Giotto, scomparsi a causa del tempo e nuovamente emersi grazie ai complessi lavori di restauro che hanno interessato la Cappella delle Benedizioni, dedicata a Santa Caterina di Alessandria, nella Basilica di Sant’Antonio, a Padova. Promosso dalla Delegazione Pontificia della Basilica del Santo, in sinergia con il Comune di Padova e la Fondazione Cariparo, il progetto di restauro, avviato a marzo 2021, è stato condotto da Giovanna Valenzano, docente di Storia dell’Arte Medievale all’Università di Padova, e Natascia Pasquali, di AR Arte e Restauro, con la direzione tecnica di Cristina Sangati. Ad anticipare i lavori di pulitura, una campagna diagnostica accuratissima e non invasiva, che ha previsto l’utilizzo di avanzate tecnologie per mappare tutte le pitture che adornano la Cappella, edificata alla fine del Duecento e decorata in parte da Giotto.
Giotto fu chiamato a lavorare nella Basilica antoniana di Padova verso il 1306 ma non è ancora chiaro dove sia intervenuto esattamente, anche a causa di un intervento del 1734, che aveva ricoperto le pitture originali. Nel 1893 si affidò al pittore Giuseppe Cherubini il compito di restaurare l’antica pittura risalente al tempo del Maestro, anticipatore dei grandi temi del Rinascimento, integrando le parti mancanti in maniera riconoscibile. Cherubini, però, ridipinse anche le figure originali, non limitandosi a un lavoro filologico ma aggiornandole secondo il gusto dell’epoca.
L’attribuzione a Giotto degli affreschi nell’area del sottarco della Cappella di Santa Caterina è stata proposta da Francesca Flores d’Arcais e in seguito avvalorata dagli storici dell’arte. I dipinti rappresentano otto mezzi busti di Sante entro quadrilobi, alternati a motivi decorativi in stile gotico. L’imposta dell’arco poggia su capitelli in marmo dipinti e dorati, e le paraste, decorate a finto marmo, presentano due stemmi lapidei speculari. Recentemente, altri restauri hanno individuato altre due figure, i Profeti Isaia e Davide, attribuibili a Giotto, nalla Cappella della Madonna Mora.
Già nel 1968 Flores d’Arcais sosteneva la necessità di un intervento che ripristinasse la lettura medievale giottesca ma è stato solo a seguito del terremoto dell’Emilia, nel 2012, che fu presentato un progetto di restauro, al cui finanziamento ha contribuito anche la presentazione della candidatura della Basilica nella Lista del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Questi ultimi lavori di restauro hanno messo in evidenza le parti originali, eliminando le ridipinture apposte da Cherubini tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900, che ricoprivano l’affresco medievale. Dopo il consolidamento della superficie pittorica, sfaldata in più punti e parzialmente distaccata, sono stati condotti i primi tasselli di pulitura, con risultati sorprendenti, che hanno mostrato l’antico splendore della grande arte di Giotto.