Vicenza, con le sue ville palladiane, già patrimonio dell’umanità Unesco, candidata come capitale della cultura per il 2024, tre arte, promozione del proprio territorio e cantiere culturale di mostre ideate per approfondire l’unicità del Rinascimento italiano, trova nell’architetto Andrea Palladio e lo scultore Alessandro Vittoria, nei pittori Paolo Veronese e Jacopo Bassano, straordinari cantori d’innovazione, inserendo la città grazie al loro operato nello scenario delle grandi capitali europee della cultura del Cinquecento.
Vicenza racconta come in trent’anni (dal 1550 al 1585) si è riscattata dal essere considerata un anonimo “luogo di provincia”, con una mostra raffinata già nel titolo “La fabbrica del Rinascimento. Palladio, Veronese, Bassano e Vittoria” a cura di Guido Beltramini (direttore del Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio), realizzata con Davide Gasparotto e Mattia Vinco, con Edoardo Demo, ospitata nella stupefacente Basilica Palladiana, promossa dal Comune, organizzata da Marsilio Arte in collaborazione con Centro Internazionale Studi di Architettura Andrea Palladio e la Fondazione Teatro Comunale di Vicenza, patrocinata dalla Regione del Veneto e della Provincia di Vicenza in partnership con Gallerie d’Italia-Palazzo Leoni Montanari e con Intesa San Paolo e il contributo di Confindustria e il sostegno di Fondazione Roi.
Come questi quattro interpreti della “modernità” introdussero nuovi stilemi dimostrando la conoscenza di Raffaello e Michelangelo, lo si capisce osservando 80 capolavori in mostra provenienti da prestigiosi musei internazionali, entrando nel vivo del processo di realizzazione delle opere. Sono interessanti le vicende intrecciate tra artisti, dipinti, sculture e disegni, accostati a libri, tessuti, preziosi oggetti e arazzi, ma anche all’economia, volte a comprendere il fondamentale ruolo che ha ricoperto Vicenza nel Cinquecento nella gestazione del Rinascimento, essendo un florido centro produttivo e culturale che mal sopportava il dominio della Serenissima che impedisce a chiunque non veneziano di diventare Doge o di entrare nel Maggior Consiglio.
La seta grezza vicentina, come il commercio di oro e argento elevano Vicenza a città di traffici europei, tant’è che Andrea Palladio (1508-1580), all’epoca ricercatissimo architetto di grande fama, autore dei “Quattro libri dell’architettura” (1570), il trattato di architettura rinascimentale, considerato anticipatore dell’architettura neoclassica e dei “Commentari” (1580), a Vicenza viene chiamato da ricchi e illuminati imprenditori per edificare tra le altre importanti opere, Palazzo Thiene per i fratelli Pisani, la Basilica affacciata su Piazza dei Signorie, la Chiesa di Santa Corona, il Teatro Olimpico e le ville che tutto il mondo ci invidia.
Palladio è il Vitruvio del Rinascimento, capace di celebrare l’antico senza copiarlo, scelto dai facoltosi imprenditori vicentini per rinnovare la città con nuovi edifici pubblici e privati, che puntano su di lui per rilanciare Vicenza come centro culturale, che non ha nulla da invidiare alla vicina Venezia.
Al primo piano della Basilica Palladiana, nella Sala della Ragione, accolgono lo spettatore i plastici dei palazzi palladiani, quelli della nuova Vicenza, accostati ai committenti ritratti da Paolo Caliari detto il Veronese ( 1528-1588), come i coniugi mercanti Livia e Iseppo Porto. Questa coppia sontuosamente vestita torna a Vicenza, per la prima volta dopo 500 anni nella Basilica a pochi metri da palazzo Porto per il quale erano stati concepiti. E’ una chicca il piccolo modelletto della Giuditta con testa di Oloferne di Veronese, dal Museo Soumaya di Carlos Slim Città del Messico, esposta per la prima volta vicino alla versione più conosciuta di Palazzo Rosso a Genova.
Caliari, esponente della scuola veronese, formatosi nella bottega di Antonio Badile, insieme a Tiziano e Tintoretto costituisce il trio della pittura del Cinquecento, iniziò presto a ricevere importanti committenze anche grazie al legame che aveva con il celebre architetto Michele Sanmicheli con cui instaurò una prolifica collaborazione. Un fatto che viene evidenziato in mostra con preziosi documenti. Veronese nell’ impressionante dipinto Unzione di Davide, cita resti di antichità classiche e di un edificio d’ispirazione palladiana come sfondo all’episodio biblico; è un evidente intreccio tra antico e moderno di efficace impatto scenografico. Tra gli altri busti spicca quello del giurista vicentino Giovanni Battista Ferretti, scolpito da Alessandro Vittoria (1525-1608), detto il Tintoretto della scultura, tra i migliori interpreti della scultura manierista, giunto a Vicenza nel cantiere di Palazzo Porto.
Non passano inosservati i dipinti di Jacopo da Ponte detto da Bassano (1510-1592), raffiguranti l’Adorazione dei pastori e il Seppellimento del corpo di Cristo. Tra i dipinti più belli c’è Ritratto di due cani a tronco di Bassano, che ad esempio valeva 15 lire , solo il doppio di un paio di guanti maschili e oltre settecento volte meno della splendida croce di cristalli di rocca dell’incisore e orafo Valerio Belli per papa Clemente VII, in prestito dai Musei Vaticani. A Roma, Belli aveva lavorato a stretto contatto con intellettuali come Pietro Bembo e artisti del calibro di Raffaello, introduce a Vicenza le loro opere. Nel Cinquecento, medium di diffusione delle opere dei maestri del Rinascimento sono le stampe, che permettono di diffondere nuove idee e stili compositivi. E proprio grazie al disegno si annullano idealmente le distanze tra Roma e Vicenza, dove dal bozzetto anche a colori all’opera il passo è breve, come lo dimostra Jacopo Bassano.
Questa mostra permette allo spettatore, grazie a un lavoro di squadra di esperti di storia dell’arte ed economica di comprendere complessi processi di elaborazione delle opere esposte, attraverso un confronto diretto con i committenti, in cui spiccano i modelli originari e in particolare i bozzetti e i disegni, davvero unici. Osservando le opere si entra nel vivo di nella bottega degli artisti, pare quasi di spiarli mentre concepiscono capolavori commissionati da committenti colti e cosmopoliti, presi dall’ambizione personale, ma anche collettiva con l’obiettivo di rendere Vicenza più bella e attrattiva investendo nelle arti.
Di unico in questa mostra c’è, escludendo l’eccellente qualità delle opere esposte, la scoperta dei meccanismi del mercato dell’arte, permettono al visitatore di contestualizzare le opere attraverso il loro valore economico in relazione agli oggetti della vita quotidiana nel Cinquecento, grazie al libro dei conti della famiglia Dal Ponte. Ha dichiarato l’assessore alla cultura Simona Siotto: “La Fabbrica del Rinascimento è una porta che si apre sul passato di Vicenza, su un periodo storico in cui gli artisti straordinari si sono incontrati ed hanno realizzato qualcosa di unico per la città che ha messo l’essere umano, l’etica e la morale al centro. Oggi parliamo di un nuovo Rinascimento culturale: la mostra mette al centro Vicenza, ci ricorda cos’era e cosa potrà diventare”.
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