Il mese scorso ha suscitato un acceso dibattito il ritrovamento di un’opera attribuita a Raffaello Sanzio, raffigurante una Maria Maddalena e databile dal 1505 in poi, nel periodo in cui la fama dell’artista, allora poco meno che trentenne, già iniziava a diffondersi. Come spesso capita in situazioni del genere, gli storici dell’arte e gli studiosi si sono divisi tra i fautori dell’illustre paternità e gli scettici, tra i quali anche Vittorio Sgarbi, secondo cui si tratterebbe «Soltanto uno scoop giornalistico» dettato dalla «Legittima aspirazione del proprietario (l’opera fa parte di una collezione privata francese, acquistata da una galleria e proveniente da una collezione inglese, ndr) di possedere un Raffaello». A schierarsi dalla parte raffaellesca, invece, Nathalie Nolde, insigne conservatrice e restauratrice francese, che ha riconosciuto nell’opera i segni di grande maestria e finezza.
I risultati del ritrovamento furono presentati in occasione di una conferenza svoltasi a metà settembre a Pergola, in provincia di Pesaro-Urbino e pochi giorni fa lo studio è stato pubblicato in maniera dettagliata sull’autorevole rivista scientifica ISTE Open Science. Tra i membri del comitato di redazione figurano Philippe Walter, Direttore del CNRS – Centre national de la recherche scientifique, Ernesto Di Mauro, Vicepresidente del Comitato Interdisciplinare Europeo dell’Accademia delle Scienze.
Nello specifico, lo studio è intitolato La Maddalena di Raffaello ovvero quando l’allievo supera il Maestro ed è firmato da Annalisa Di Maria, esperta di Leonardo da Vinci e membro esecutivo del Club UNESCO di Firenze, Jean-Charles Pomerol, professore emerito dell’Università della Sorbona, Nathalie Popis, specialista in applicazioni della matematica nell’arte, Andrea Chiarabini, dottore in biologia molecolare all’Università di Urbino Carlo Bo.
Gli studiosi hanno dunque percorso la storia della Maddalena di Raffaello. Un atto notarile datato nel 1565 attesta che l’opera apparteneva alla famiglia Fontana. Questo stesso dipinto fu ritrovato nell’inventario del guardaroba dei Della Rovere, datato 1623. Nel 1631 l’opera si trovava ancora nell’inventario del Palazzo Ducale di Urbino, nonché nel registro “Nota de’ quadri buoni”. Vittoria della Rovere, ereditò la collezione d’opere d’arte di suo nonno, che fu inviata a Firenze. Fu redatto quindi un altro inventario delle opere trasferite da Urbino a Firenze e nell’elenco figurano sia la Maddalena di Raffaello d’Urbino ma anche un’altra Maria Maddalena, considerata come una copia, sotto la menzione «Quadretto di una Santa Maria Maddalena, qual dicono essere di mano di Raffaello». Questa seconda Maddalena non figurava nell’inventario della collezione Della Rovere nel 1631.
Le opere che giunsero a Firenze fanno ora parte delle collezioni della Galleria Palatina e della Galleria degli Uffizi. Poiché nessuna Maria Maddalena di Raffaello adorna le mura medicee, sembrava che nessuno dei due dipinti fosse arrivato a Firenze. Tuttavia, a Palazzo Pitti esiste una Maddalena attribuita al Perugino – che, ricordiamo, fu il Maestro di Raffaello – ma che non figura nell’inventario del Palazzo Ducale di Urbino del 1631 e nell’elenco delle opere trasferite da Urbino a Firenze. Secondo gli studiosi, dunque, la Maddalena del Perugino potrebbe essere il dipinto considerato come una copia della Maddalena di Raffaello. Nell’inventario della Villa del Poggio Imperiale del 1654, l’opera del Perugino si trovava nell’appartamento di Vittoria Della Rovere. Sebbene l’attribuzione al Perugino sia oggi comunemente accettata dalla critica moderna, nell’inventario del 1691 questo stesso dipinto divenne opera attribuita a Raffaello. All’epoca si sapeva gà che una Maddalena di Raffaello era andata perduta.
Alla fine del XVII secolo, la descrizione dettagliata della Maddalena del Perugino, oggi conservata a Palazzo Pitti, rivela preziose informazioni. Il nome del donatore era iscritto sul busto della Maddalena, ma oggi non vi figura più. Se l’iscrizione sul busto “S. Maria Madalena” ha sostituito il nome del donatore, ciò dimostra che la Maria Maddalena proveniente da Villa Borghese, apparsa nella loro collezione nel 1693 e che reca la stessa iscrizione “S. Maria Madalena”, è un copia datata alla fine del XVII secolo dell’opera attribuita al Perugino. Nella versione della Maddalena di Raffaello non sono presenti iscrizioni ma motivi a forma di rombo che ricordano quelli presenti sul busto della Gioconda.
I risultati degli studi scientifici condotti sulla Maddalena di Raffaello, una tavola di pioppo di 46 per 34 centimetri, confermano gli elementi storici dell’opera. I risultati ottenuti hanno permesso di attestare che il ritratto della Santa nasce quindi dalla fantasia creativa di Raffaello. Le analisi indicano l’utilizzo del metodo dello spolvero, un disegno preparatorio nel suo insieme e la presenza di numerosi pentimenti nelle diverse fasi di esecuzione fino all’opera finale. Anche il Perugino usò il metodo dello spolvero ma non nella sua versione della Maddalena. Inoltre, i pentimenti appaiono solo a livello delle mani, parte anatomica di grande finezza, difficile da riprodurre. Questi risultati permettono formalmente di certificare che l’opera ritrovata è l’originale.
Come sottolinea Vasari, Chiara Fancelli, la moglie del Perugino, era di grande bellezza e fu modello tanto per il marito quanto per Raffaello ed era consuetudine nelle botteghe e tra i collaboratori creare più versioni identiche per ordini multipli, soprattutto su temi religiosi. «Questo capolavoro di grande bellezza testimonia l’emancipazione di Raffaello e dell’influenza di Leonardo da Vinci sul giovane prodigio», si legge in un comunicato diffuso alla stampa, nel quale si specifica anche che l’opera sarà visibile pubblicamente in Francia.
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Sgarbi smentisce tutto ed inoltre non ha la finezza della mano di Raffaello ma anche questo dice Sgarbi seppure in modo più articolato. Effettivamente mi stupisce questa pubblicazione ma solo perchè è stata pubblicata qui
Il Prof. Sgarbi ha esaminato de visu la tavola ?