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La policromia della scultura classica. In una mostra al Met di New York
Archeologia
In una visitatrice italiana che ha visto in più occasioni i bronzi di Riace in Calabria, crea immediato spaesamento la folgorante apparizione delle due statue in stucco che si affrontano a fior di pelle nell’ala greca del Met di New York. Da oltre due decenni, quella passeggiata che comincia col Kouros e la Sfinge ci riporta dai taxi di Fifth Avenue alle nostre origini classiche, ma immaginate la sorpresa nel vedere tra i reperti candidi due guerrieri nudi, totalmente colorati di nero. Sono capitata in mezzo a Chroma, la mostra allestita tra le statue del primo piano, affiancando alle opere già esistenti 14 ricostruzioni dipinte di arte greca e romana.
Tali ricostruzioni sono il risultato del lavoro di Vinzenz Brinkmann, direttore del reparto antichità del Liebieghaus Skulpturensammlung di Francoforte, e di Ulrike Koch-Brinkmann. La coppia di coniugi si occupa di policromia da oltre 40 anni, e la loro mostra Gods in Color gira dal 2003.
L’idea è quella che chi ha studiato Winckelmann e il Classicismo già conosce: le statue nell’antichità non erano bianche ma colorate, e per determinare i colori sono state usate sia tecniche scientifiche che ricerche storico-artistiche. Per la statua dell’arciere, ad esempio, la coppia ha utilizzato la luce ultravioletta e radente per determinare i motivi dipinti sulla sua superficie, e poi tecniche dettagliate per osservare ciò che restava dei colori. In seguito hanno studiato un cavaliere persiano ben conservato dell’Acropoli di Atene risalendo alle tonalità più probabili. L’oro è stato aggiunto dopo che il team ha studiato le ceramiche greche e i tessuti sciiti che portavano modelli di abbigliamento simili a quelli dell’arciere.
Da una delle teche ci osservava il “paio d’occhi” che da sempre mi affascina e che già preannunciava la mostra attuale: nella didascalia si racconta di come questi occhi, un tempo lucenti, fossero incastonati nel marmo, anch’esso colorato.