I ritratti femminili dei Pollaiolo rappresentano una delle massime espressioni della ritrattistica fiorentina della seconda metà del Quattrocento, in particolare quello conservato al Poldi Pezzoli è da sempre considerato un vero capolavoro del genere, diventando simbolo stesso del museo milanese. Grazie alla mostra organizzata dallo stesso Museo Poldi Pezzoli di Milano, per la prima volta nella storia sono stati esposti i quattro ritratti femminili del Pollaiolo conservati, oltre che al museo milanese, alla Galleria degli Uffizi di Firenze, alla Gemäldegalerie di Berlino e al Metropolitan Museum of Art di New York.
Dopo lunghe vicende critiche la ricerca di Aldo Galli e Andrea di Lorenzo, curatori della mostra Le dame dei Pollaiolo. Una bottega fiorentina del Rinascimento (allestita al Museo Poldi Pezzoli di Milano, dal 7 novembre 2014 al 16 febbraio 2015) ha potuto ricostruire la vicenda dei due fratelli Antonio e Piero del Pollaiolo, che si muovevano tra pittura, scultura e arti applicate: due personalità artistiche affini ma distinte, che meritavano di essere rielette alla luce della moderna storiografia storico artistica.
La mostra ha offerto la possibilità di attribuire i ritratti femminili alla mano di Piero, raffinato pittore che utilizzava tecniche a olio come i fiamminghi, mentre si è rilevata la poliedricità di Antonio nel modellare sculture in terracotta e bronzo, oreficerie, ricami e disegni, che mostrano la capacità dell’artista di progettare in modo autonomo rispetto al fratello. Gli studi hanno portato i curatori a discernere la mano di Piero come talentuoso pittore a cui sono attribuiti i famosi quattro ritratti femminili, e un artista più versatile, Antonio, capace di lavorare con tantissime tecniche tra cui spicca l’arte orafa.
Recentemente è emerso dal mercato antiquario un dipinto, tempera e olio su tavola (dimensioni cm. 43,5×25) oggi in collezione privata, che rappresenta una dama vista di profilo secondo un uso antico che prende piede nella Firenze del secondo Quattrocento, praticato da Domenico Veneziano, Alessio Baldovinetti e dal Maestro della Natività di Castello, ma che venne reso celebre dai dipinti di dame pollaioleschii recentemente ascritti – con convincenti motivi – alla mano di Piero Pollaiolo.
Il dipinto arriva a noi in buono stato di conservazione, sebbene con qualche caduta di colore e diffuse crettature, che dall’analisi di laboratorio risultano attestare l’autenticità dell’opera. Le analisi microstratigrafiche hanno rivelato l’uso di pigmenti e preparazioni in gesso e colla animale di origini antiche. Solo nella parte dell’azzurro del cielo è stata rilevata la presenza di blu di cobalto (blu di Thenard), pigmento introdotto per uso artistico a partire dal 1804.
Del resto anche gli altri ritratti femminili di Pollaiolo hanno sofferto di ridipinture e ritocchi in diverse parti, suscitando notevoli dibattiti sull’attribuzione. Si pensi in primis alla dama degli Uffizi la cui non perfetta conservazione, come indica l’eccessivo rossore delle guance, rende particolarmente problematica l’attribuzione dell’opera.
La dama recentemente emersa segue l’impostazione delle altre figure femminili. Sul fondo si intravede una balaustra appena decorata da motivi ritmici che chiude la scena. Il volto della donna, perfettamente di profilo, appare dolce e vago; la carnagione, pallida, è lievemente ravvivata sulle guancia sinistra mentre sono accennate con grande delicatezza le ombre della palpebra e della narice; i capelli biondi, lavorati con una materia pittorica densa e certosina, sono raccolti e trattenuti dai cordoncini di una garza bianca che si tende anche sull’orecchio, ricoprendolo. E proprio il trattamento pittorico denso dei capelli, così come la resa mimetica dei tessuti e del gioiello pare rimandare alla mano di Piero Pollaiolo, che usava la tecnica a olio per far emergere l’aspetto materico.
Il busto, ritratto di tre quarti, fa risaltare gli elaborati dettagli delle maniche in velluto di color rubino dell’abito della dama: il ricco motivo a broccato in filo d’oro che decora spalla e braccio della manica sinistra è dunque leggibile, nella sua continuità, anche sull’avambraccio destro. Le maniche sono cucite su una gamurra in lana di colore rosso vivo, aderente sul busto e che si apre invece in ampie pieghe all’altezza del bacino; la gamurra è caratterizzata da una cerniera dorata, da un’ampia scollatura sulla schiena e da una, più arrotondata e sobria, sul petto che lascia intravedere una sottile camicia bianca usualmente usata per proteggere il vestito ed evitare il contatto diretto con la pelle.
Come si vede, il taglio della figura e la sua disposizione a tre quarti richiamano da vicino quelli della Dama di Berlino, e rispondono probabilmente a una medesima volontà di mettere in rilievo la raffigurazione del bacino, forse in funzione allegorica. La veste sia nel dipinti di Berlino che nel nostro mette in risalto il ventre femminile alludendo alla fertilità e continuità della stirpe di cui le donne erano garanti. La schiena e la nuca appaiono similmente curvate e la posa in generale meno impostata, più languida rispetto a quella della Dama del Poldi Pezzoli. Si registra d’altronde una semplificazione nella decorazione della balaustra, che parrebbe prefigurare la successiva scomparsa.
L’abito, tuttavia, è aggiornato rispetto al modello indossato dalla Dama di Berlino e rispecchia un’evoluzione dei costumi ben documentata nella Firenze del secondo Quattrocento inoltrato. La struttura della gamurra indossata dalla Dama del nostro dipinto richiama del tutto quella della Dama del Poldi Pezzoli, sia nell’alternanza tra veste monocroma e maniche in velluto dai broccati elaborati, sia nella scomparsa dell’imbottitura sulle maniche a favore di una maggiore linearità di taglio; infine nel disegno delle scollature, che sembra farsi più profondo sulla schiena e si apre sul petto quel tanto da mettere in luce la linea sottile della camicia e soprattutto la collana di perle e il monile, offerto allo spettatore in tutto il suo significato distintivo e allegorico.
Proprio il confronto tra il dettaglio del ricamo della dama di Berlino e quello in collezione privata mostrano la stessa tecnica di lumeggiatura sull’oro per rendere l’effetto tridimensionale del velluto ricamato. Anche l’acconciatura appare aggiornata, e se la garza che trattiene i capelli della nostra Dama non appare particolarmente sottile o raffinata, certo è che il disegno dello chignon e l’ausilio fornito dai cordoncini di una veletta tesa sull’orecchio sono del tutto simili a quelli, delicatissimi, della Dama del Poldi Pezzoli.
Appare comunque convincente e significativo il modo pastoso e insieme sottile di lavorare la massa di capelli: un tratto tra i più caratteristici della pittura di Piero. Se i dettagli di posa, vestiario e acconciatura sembrano porre la Dama del nostro dipinto a metà strada tra quella di Berlino e quella di Milano, si noterà che questi stessi elementi la allontanano dalle Dame di Firenze e di New York, decisamente più tarde. Le dame di questi ultimi due dipinti sono vestite con una giornea priva di maniche sovrapposta a una cotta dal tessuto sottile e preziosamente ricamato.
Per avvicinare la Dama in esame al disegno di Piero del Pollaiolo pare inoltre significativo un confronto con lo splendido Ritratto di giovane uomo conservato alla National Gallery of Ireland. I disegni di Piero si caratterizzano per una maniera morbida che poco ha del guizzo dinamico del fratello Antonio.
Proprio sulla base di questo tipo di esame, oltre che su una più accorta lettura della letteratura pre-vasariana, Aldo Galli ha inteso riabilitare e rilanciare, nella mostra tenutasi al museo Poldi Pezzoli nel 2014, il nome di Piero come quello del probabile autore dei dipinti di Dame, oltre che di un discreto gruppo di opere che, da Vasari a Berenson, erano state attribuite ad Antonio.
Si guardi quindi il modo di disegnare gli occhi, e in particolare il taglio della palpebra superiore: si noterà come il segno indugi, e come linea la termini con una curva appena accennata ma del tutto caratteristica, e ben diversa da quella, più netta e dritta, che si ritrova nei ritratti di profilo di altri pittori dediti a questo soggetto, ma anche dello stesso Piero in periodi successivi.
Altrettanto interessante può essere il confronto tra la fisionomia della Dama in esame con quella della Vergine che appare incoronata nell’unica grande tavola firmata e datata da Piero nel 1483 che fa bella mostra di sé nella chiesa di S. Agostino, a San Gimignano. Si noteranno stringenti somiglianze che potrebbero suggerire la ripresa di un modello a qualche anno di distanza, oltre a fornire spunti per la ricostruzione del dipinto. Il ritratto in esame, di alta fattura, è di difficile documentazione: ciò non stupisce, perché sia le dimensioni, sia il soggetto suggerirebbero di collegarlo alla pratica quattrocentesca dei dipinti funzionali alle nozze, in cui gli abiti preziosi e i gioielli testimoniano la posizione sociale della sposa ammantandosi talvolta di un significato allegorico e connesso ai temi della castità, della purezza e della fertilità (così potremmo leggere rispettivamente il motivo delle perle e l’allargarsi della veste sul bacino). La fisionomia particolarmente connotata della dama sconsiglia d’altronde di leggerla come un soggetto ideale o letterario, quanto piuttosto come un soggetto reale.
La circolazione del dipinto deve essere stata dunque legata a una dimensione squisitamente privata che potrà forse essere documentata da ricerche archivistiche, come del resto squisitamente privata e difficilmente documentabile fu la circolazione delle dame del Pollaiolo, per lo più attestate in modo certo solo a partire dall’Ottocento, e con cui sembra di poter mettere in dialogo questo dipinto per una serie di richiami puntuali, oltre che per la tecnica pittorica densa e meticolosa.
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