-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Moroni, fotografo ante litteram: la mostra alle Gallerie d’Italia di Milano
Arte antica
Come sempre a Milano, in Piazza Scala 6, le dinamiche e accoglienti sale delle Gallerie d’Italia – braccio culturale e museale di Banca Intesa San Paolo, Istituto di grande efficienza e resilienza a livello internazionale – stupiscono con una mostra di elevato spessore, dedicata, fino al 1° aprile 2024, all’artista Moroni (1521-1580), Il ritratto del suo tempo. Si tratta della più completa esposizione mai realizzata sul tema del ritratto – genere in cui il Nostro tocca l’apice – con 110 opere (in nove sezioni) tra disegni, libri, medaglie, armature e principalmente splendidi dipinti (70 quelli di Moroni tra ritratti e opere a carattere religioso) affiancati da testimonianze figurative peculiari della sua epoca quali quelle di Lotto, Moretto, Savoldi, Anthonis Mor, Tiziano, Veronese e Tintoretto, tutte provenienti da prestigiosi musei.
Curata da Simone Facchinetti e Andrea Galansino – che si sono già occupati di due rilevanti mostre dedicate a Moroni: nel 2014 alla Royal Academy di Londra e nel 2019 alla Frick Collection di New York – con il coordinamento generale di Gianfranco Brunelli, la mostra sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica riscopre e valorizza il contesto ambientale e il variegato patrimonio artistico e culturale di Bergamo e Brescia Capitale della cultura 2023, città all’epoca di Moroni – che per le sue vicende esistenziali le lega idealmente – appartenenti alla Repubblica di Venezia.
Dimenticato e non amato dai contemporanei per essersi staccato dalla moda dell’epoca che predilige ritratti idealizzati come a esempio quelli di Tiziano, il Nostro ritrae “al naturale”, persino con difetti fisici, rendendo in modo fotograficamente veritiero, minuzioso e senza abbellimenti la fisiognomica tanto da rivelare anche animo e personalità. Una scelta considerata, invece, eccellente quando è riscoperto dalla critica che lo colloca a livello internazionale dando inizio alla sua fortuna (notevole in Inghilterra).
Oggi è considerato attuale e assolutamente in linea con il nostro gusto al di là della magnificenza degli abiti che restituiscono ambizioni e mode di quel tempo capace di apprezzare l’elegante duttilità del nero tanto da creare con tale colore una splendida e fantasiosa ricchezza decorativa. Si può definire “un’alta moda” (nata in effetti nel XIX secolo con Charles Frédérick Worth che trasforma il sarto in stilista couturier) ante litteram con solide basi nell’arte creativa: ne è uno splendido esempio il Ritratto di sarto (Il tagliapanni) – proveniente dalla National Gallery di Londra – fulcro simbolico della produzione moroniana e presumibilmente fonte d’ispirazione per Caravaggio quando dipinge l’Oste nelle due Cene di Emmaus.
Benché la tematica sia piuttosto insolita, ma comunque presente nel ‘500, ci si trova di fronte a un artigiano di classe – sarto o venditore di stoffe probabilmente conosciuto, se non amico dell’artista – di bella presenza, dall’abbigliamento elegante e dalla pettinatura e barba curatissime. Sicuro di sé e con invitante sguardo, si appresta a tagliare con le forbici un panno nero (segnato con un gesso bianco), colore di gran moda nell’aristocrazia e nella classe mercantile nella Venezia cinquecentesca; divenuto colore ufficiale di Carlo V e della corte asburgica spagnola, si diffonde nell’Europa del tempo quale status symbol che avrebbe potuto ben figurare nelle mise alla Fenice o alla Scala…se non fossero nate due secoli dopo…
Per arrivare ad ammirare questo iconico quadro posto alla fine dell’esposizione vediamo chi è Moroni, l’ambiente in cui opera e penetriamo nel Cinquecento attraverso la mostra. Giovan Battista Moroni nasce primogenito di quattro fratelli intorno al 1521 ad Albino (paese – a 13 chilometri da Bergamo in Val Seriana – sovrastato dal monte Cornagera, che compare in alcuni suoi quadri sacri, e dall’economia fiorente a quei tempi in cui grazie alla presenza di corsi d’acqua si producono pannilana) da Francesco Moroni, capomastro edile, e da Maddalena di Vitale Brigati. Essendosi il padre spostato per lavoro nel Bresciano, Giovan Battista è posto a bottega a Brescia come apprendista del pittore Alessandro Buonvicino detto il Moretto. Si muove nel territorio e fuori fino alla fine del 1556, quando sposatosi con Bartolomea Bonasio, si stabilisce definitivamente ad Albino
iniziando una nuova fase esistenziale. Attivo nella politica, diviene nel 1571 Console di Albino. Si dedica anche alla pittura religiosa dipingendo nelle chiese locali: una pittura sempre interprete dello spirito delle norme riformatrici emanate dal Concilio di Trento e dall’aura respirata nella città ponte tra nord e sud Europa.
Non si conoscono bene gli anni della formazione del Nostro presso il Moretto, il pittore più affermato e aggiornato di Brescia (il Vasari gli riconosce straordinarie abilità tecniche nel dipingere soprattutto teste e stoffe degli abiti), di cui in mostra si possono ammirare dipinti a carattere religioso come La caduta di san Paolo con il soldato Paolo di Tarso spaventato per il cavallo incombente. Del giovane allievo sono rimasti alcuni interessanti disegni superstiti di una sorta di suo taccuino di appunti: figure – isolate ed estrapolate dal contesto – copiate dalle opere del suo Maestro, utili per costruire i propri lavori nell’età in cui il Concilio di Trento stabilisce canoni limitativi per rappresentare in modo ortodosso l’immagine sacra diminuendo i temi e l’importanza dell’invenzione.
La sua formazione passa inoltre dalla visione diretta di dipinti nel territorio in cui si muove come quelli di Giovanni Bellini e Andrea Solario, allievo milanese di Leonardo. Solario nel piccolo quadro Madonna allattante il Bambino e un santo aggiunge al tema, già da lui trattato, la figura maschile di un santo, dall’identità incerta, che indelicato scosta il drappo rosso per guardare. Moroni, qualche lustro dopo, trasporta questo tema nel suo Madonna con il Bambino eliminando la figura del santo, aprendo una finestra su cui poggia un vaso con una pianta (simbolo dell’albero della vita) e inserendo un cestino di pere e un libro chiuso dalla copertina di pelle rossa.
Per il suo dipinto Trinità, che si trova ad Albino, il Nostro si ispira all’omonima tela di Lorenzo Lotto (amico del suo maestro Moretto), ma se ne allontana nella realizzazione. Quando Moroni, forte di una solida formazione, si reca a Trento – non si sa se invitato direttamente dalla famiglia del principe vescovo Cristoforo Madruzzo con la quale avrà stretti contatti – riceve l’incarico di eseguire in Santa Maria Maggiore (una delle sedi conciliari) la pala Madonna con il Bambino in gloria e i santi Ambrogio, Gregorio, Gerolamo, Agostino e Giovanni evangelista il cui messaggio principale è il tema del secondo decreto emanato dai padri conciliari, cioè la scelta della Vulgata di san Gerolamo quale testo autentico delle Sacre Scritture a significare che solo l’autorità ecclesiastica può interpretarle.
In Moroni il ritratto ha un processo evolutivo più dinamico: il Ritratto di M.A. Savelli (considerato uno dei suoi primi) evidenzia segni del Moretto, un maestro al riguardo come dimostra il suo intenso Ritratto di Gerolamo Martinengo da Padernello che coglie lo stato d’animo del bel giovane dal taglio degli occhi un po’ a mandorla, ma infastidito, insoddisfatto se non amareggiato e abbigliato in nero in modo elegantemente sfarzoso secondo la moda ormai diffusa in Europa.
I continui spostamenti di Moroni a Trento in occasione del Concilio oltreché tra Brescia, Albino e Bergamo dovuti a numerose richieste di lavoro affinano le sue capacità figurative come si nota nel Ritratto di Michel de l’Hôspital (?) che restaurato in occasione di questa esposizione rivela notevole padronanza cromatica e disinvoltura nella posa. Anche il vestito è molto accurato: corpetto grigio con passamani neri che formano quadrati, giubbotto foderato di lince, calze scure e scarpe di velluto nero. Nel percorso moroniano si sviluppa così arrivando a vertici di eccellenza il molteplice mondo della ritrattistica a cominciare dai “ritratti del potere”: nel ‘500 l’imperatore Carlo V diffonde in tutta Europa i ritratti con cui Tiziano l’ha immortalato seguendo precisi modelli e dando luogo a una sorta di eccesso di immagini. Anche nella Repubblica di Venezia personaggi pubblici laici e religiosi si rivolgono per lo stesso scopo a Tintoretto e Tiziano; Moroni “entra nel giro” con il Ritratto di Innocenzo del Monte (cardinale nipote di Giulio III) dallo sguardo concentrato e dall’esistenza turbolenta e con alcuni ritratti di Podestà accomunati da vestiti uguali in rosso e nero, una specie di divisa che identifica la carica: nel Ritratto di podestà l’anziano personaggio, seduto su una savonarola, appare sereno, amabile e splendido nel suo abito di seta rossa e sopravveste nera.
I “dipinti al naturale” che all’epoca si considerano adatti alle classi sociali più basse sono sempre più utilizzati da Moroni anche per personaggi importanti della provincia come nel Ritratto di Giovan Crisostomo Zanchi destinato al Convento dei Canonici Lateranensi – di cui veste la divisa: rocchetto bianco (sopravveste bianca, nel passato di fogge diverse, indossata direttamente sull’abito talare), mantello nero legato al collo e berretto a spicchi) – in Santo Spirito a Bergamo forse quando questi diviene rettore generale dell’ordine e tuttavia senza intento celebrativo come anche nei numerosi ritratti eseguiti per i nobili di provincia. Tra gli esempi il Ritratto di Gabriele Albani, personaggio risoluto che ha ricoperto numerosi incarichi pubblici, ripreso frontalmente – tanto da evidenziare un grosso lipoma sulla fronte – seduto su una savonarola con l’indice in un libro a segnare là dove ha interrotto la lettura, con una sopravveste foderata di lupo cerviero (lince) e ancora il Ritratto di vecchio seduto con un libro (Pietro Spino) probabilmente uno scrittore bergamasco dallo sguardo acuto e intenso e con un pesante vestito foderato di pelliccia. Il Nostro è attento anche a rendere la psicologia femminile come nel Ritratto di Lucia Vertova Agosti dal viso un po’ tirato ed elegantissima nell’abito di velluto nero con una preziosa camicia bianca trasparente e nell’acconciatura curata e abbellita da un gelsomino e una rosa e nel Ritratto di gentildonna dallo sguardo pensieroso volto verso l’esterno del quadro e dall’abbigliamento in cui il nero della sopravveste contrasta con il rosso dell’abito e con il bianco della camicia che “sbuffa” dalle trinciature verticali e diagonali.
I ritratti si ritrovano anche nelle pale d’altare che vengono commissionate a Moroni. Quando a Bergamo cambia il vescovo (il precedente, attivo nella prima fase del Concilio di Trento, facendo parte dell’ala minoritaria sconfitta nel concilio è inquisito e umiliato), con il successore Federico Cornaro inizia un nuovo periodo e anche per il Nostro crescono le commissioni pubbliche che si intensificano in occasione della visita pastorale di Federico Borromeo nel 1575. Diversa dall’iconografia classica la sofisticata e intrigante Ultima cena sotto un loggiato coperto con un uomo, dominante rispetto agli altri convitati, la cui identità è stata attribuita al sacerdote Lattanzio da Lallio, l’allora parroco: il messaggio subliminale è il tema della transustanziazione (trasformazione durante l’Eucarestia del pane e vino in corpo e sangue di Cristo) che divide la Chiesa Cattolica e quella Riformata.
Altra rappresentazione pittorica religiosa diffusa nel ‘500 nell’Italia settentrionale e destinata alla fruizione privata è l’illustrazione dell’orazione mentale. Si tratta di una preghiera non espressa con la voce, ma frutto della capacità del singolo di ricreare attraverso l’immaginazione ciò che desidera contemplare di quanto narrato nei testi sacri: lo schema di tale tipologia di dipinto presenta il ritratto del devoto unito o separato dalla sua messa in scena mentale. Nel Ritratto di devoto in contemplazione della Madonna con il Bambino Moroni presenta in un ambiente segnato da una linea d’angolo un giovane devoto – in primo piano e di profilo, elegantemente vestito con una camicia bianca ricamata, una veste rossa e un giubbone di velluto – che a mani giunte sta praticando un’orazione mentale grazie alla quale contempla la Madonna con il Bambino che tiene una mela già morsa a significare l’assunzione su di sé da parte di Gesù dei peccati dell’umanità.
Comunque il ritratto resta il prodotto principe della produzione moroniana in particolare negli anni in cui le commissioni pubbliche sono carenti, ma forse anche per il fatto che in questo settore l’artista è un po’ più libero. Certo il Nostro è richiestissimo dalle principali famiglie bergamasche a cominciare dal piccolo mondo letterario cittadino di cui Moroni asseconda le ambizioni intellettuali attraverso ritratti emblematici. Tale mondo ha il suo fulcro nell’umanista Giovanni Bressani ritratto da Moroni tra carte e scritti e mentore di scrittrici e poetesse come Isotta Brembati e Lucia Albani. Personaggio trainante di tale società è la Brembati, sposata con Lelio Secco d’Aragona e madre di quattro figli; rimasta vedova, sposerà il cognato Gian Gerolamo Grumelli anche lui vedovo e ritratto a figura intera l’anno prima dal Moroni nel celebre Cavaliere in rosa: sontuosamente vestito alla spagnola con abito di raso color corallo dipinto con grande maestria e decori vegetali in fili d’argento. Molto accurato il ritratto a mezzo busto della giovane letterata: sguardo rivolto verso l’osservatore, abbigliata alla moda con un corpetto in velluto rosso ricamato con fili d’oro e un’acconciatura curatissima con diadema di fiori di metallo e perle con pendente centrale.
A corredo degli splendidi dipinti si possono ammirare disegni, libri, medaglie, armature e armi e al termine della mostra il Libro del Sarto, un testo miscellaneo importantissimo per comprendere l’uso del nero nella moda maschile dell’epoca con fogli, acquerelli, modelli per il taglio, disegni e stampe assemblati in periodi diversi e la presenza di iscrizioni e motti utili per decodificare i simboli presenti.
Veramente un’immersione a 360 gradi nel passato e per approfondire le numerose tematiche vagliate è utilissimo il catalogo (edito da Gallerie d’Italia|Skira) sul cui retro è stampato in sintesi un encomiabile e accurato impegno: «Gallerie d’Italia è il Progetto di Intesa Sanpaolo per l’arte e la cultura».