Nessuna donna del passato, almeno per quanto riguarda l’arte figurativa di età barocca, è stata insieme artista e corpo politico più di Artemisia Gentileschi. Figlia d’arte di incredibile e precoce talento, la sua opera è conosciuta almeno quanto uno scorcio tragico della sua biografia: stuprata dal suo maestro Agostino Tassi quando era poco più di una ragazzina, ebbe il coraggio di denunciarlo e testimoniare contro di lui. La vicenda ha fatto della pittrice – a torto o a ragione – un’icona proto-femminista, oltre a contribuire a veicolare la sua notorietà attraverso i secoli.
Nonostante sia tanto conosciuta e a lei si siano dedicate tante monografiche nel mondo, una parte della sua vita – quella dell’età matura – rimane misconosciuta. Ed è proprio nell’età matura che si colloca il periodo napoletano di Artemisia Gentileschi, a cui Gallerie d’Italia – Napoli, museo di Intesa Sanpaolo dedica “Artemisia Gentileschi a Napoli”, a cura di Antonio Ernesto Denunzio e Giuseppe Porzio, con la consulenza speciale di Gabriele Finaldi, direttore della National Gallery di Londra. In esposizione dal 3 dicembre 2022 al 19 marzo 2023 la mostra – che mette insieme 21 opere della Gentileschi provenienti da musei, fondazioni e collezioni private di tutto il mondo – è realizzata con il patrocinio del Comune di Napoli, in collaborazione con la National Gallery di Londra, il Museo e Real Bosco di Capodimonte, L’Archivio di Stato di Napoli e L’Università degli studi L’Orientale. Alle opere dell’artista si accostano quelle di pittori suoi contemporanei – Fra i quali Andrea Vaccaro, Massimo Stanzione, Paolo Finoglio e la semisconosciuta Diana De Rosa – e che hanno vissuto e lavorato nella Napoli che ospitò Artemisia Gentileschi fra il 1630 e il 1654.
«Il periodo napoletano, che costituisce il capitolo conclusivo e meno conosciuto dell’esistenza della pittrice, fu interrotto solo da una parentesi londinese di due anni, dal 1638 al 1640 – spiega Gabriele Finaldi della National Gallery di Londra – la collaborazione internazionale in questo caso è stata particolarmente importante per condividere le conoscenze e mettere in luce aspetti meno noti della vita e dell’opera dell’artista». «Sappiamo moltissimo della prima parte della vita personale e artistica di Artemisia Gentileschi, molto meno della seconda, quando l’artista giunse a Napoli – prosegue il curatore Giuseppe Porzio – la parentesi napoletana si estende per circa un quarto di secolo ed è un capitolo particolarmente complesso nella produzione artistica della pittrice. Fino ad oggi tale complessità ha impedito che si creasse un focus interamente legato a tale periodo».
Nel processo di ricostruzione dello spaccato napoletano, fondamentali sono stati i documenti messi a disposizione dall’Archivio di Stato di Napoli, attraverso cui è stato possibile porre in luce scorci importanti e inserire questa parte di vissuto dell’artista in modo organico nella sua biografia, oltre a meglio conoscere i personaggi chiave che hanno contribuito all’affermazione artistica di Artemisia Gentileschi a Napoli, come Bernardo de Dominici che, nelle sue “Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani”, pubblicato nel 1742, scrisse anche una biografia dedicata all’artista.
La ricostruzione storica è stata fondamentale per creare un percorso espositivo coerente, espressione delle tematiche più care all’artista in questo periodo: per la prima volta sono mostrate al pubblico italiano opere come Santa Caterina d’Alessandria, recente acquisizione della National Gallery di Londra, in confronto con un’altra Santa Caterina dell’artista proveniente dal Nationalmuseum di Stoccolma; oltre alla bellissima Giuditta e l’ancella con la testa di Oloferne in prestito dal Nasjonalmuseet di Oslo. Le opere straniere dialogano – spesso per la prima volta – con le opere di casa, provenienti dalle sale del Museo di Capodimonte e da Pozzuoli. Ed è proprio da Pozzuoli che proviene il San Gennaro nell’anfiteatro e i Santi Procolo e Nicea, restaurato per l’occasione.
Nell’ambito della mostra ospitata dal Gallerie d’Italia, Artemisia Gentileschi – una delle poche artiste del Seicento arrivate anche perché nata, per sua fortuna, in un contesto famigliare che l’ha supportata e favorita – “presta” in questo caso la sua notorietà a chi ha avuto meno fortuna di lei. È questo il caso di Diana Di Rosa (Annella), pittrice inghiottita dal tempo e a lungo rimasta solo un riferimento letterario. «Assorbita da una struttura famigliare fortemente patriarcale, Diana Di Rosa non ha avuto quell’autonomia di cui invece ha goduto Artemisia Gentileschi, diventando un nome senza opere», commenta Giuseppe Porzio. Al centro dell’interesse dell’artista in età matura sorge una maggiore consapevolezza dei rapporti di forza fra uomo e donna: alle diverse Susanne tormentate da laidi vecchi si contrappone il Trionfo di Galatea e la tenerezza di Lot con le sue figlie. La Gentileschi più matura e consapevole, rende giustizia a quella più giovane e tragica, confermando un dato certo che perdura attraverso i secoli: le donne sono sempre capaci di risorgere dalle proprie ceneri.
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