Scolpita in un enorme blocco di marmo bianco di Carrara, tra il 1547 e il 1555 circa, la Pietà Bandini o dell’Opera del Duomo a Firenze, è una delle tre, insieme a quella giovanile vaticana e la successiva Rondanini, realizzate da Michelangelo.
Il suo restauro, iniziato lo scorso novembre e interrotto a causa del Covid-19, è ripreso nel Museo dell’Opera del Duomo a Firenze. Per la prima volta, da oggi, lunedì 21 settembre, sarà possibile accedere al cantiere di restauro grazie a delle speciali visite guidate (riservate al massimo per cinque persone alla volta) con i restauratori e gli esperti dell’Opera di Santa Maria del Fiore.
Le indagini diagnostiche, eseguite all’inizio dell’intervento e in corso per approfondire nuovi elementi portati alla luce, hanno fornito informazioni fondamentali per la conoscenza dell’opera e per il suo restauro: sull’opera non sono presenti patine storiche, ad eccezione di alcune tracce riscontrate sulla base della scultura, ancora in fase di accertamento. Confermata, invece, la presenza di elevate quantità di gesso, residui del calco ottocentesco e non conseguenza dell’alterazione del marmo per solfatazione.
La prima pulitura della superficie, finita sul retro del gruppo scultoreo e in fase iniziale sul davanti, sta riportando alla luce le cromie frutto di precedenti trattamenti del marmo e dettagli non conosciuti della Pietà di Michelangelo – dai segni di lavorazione realizzati con strumenti diversi, alle impronte dei tasselli del calco ottocentesco – alle tracce di interventi precedenti – nascosti sotto uno spesso strato di depositi di polvere misto a cere, accumulatesi e modificatesi in oltre 470 anni di vita dell’opera.
Sulla base di questi risultati è stato deciso di procedere prima con delle prove di pulitura, così da individuare la metodologia più idonea, e poi di iniziare l’intervento dal retro, dove era maggiore la presenza di depositi, utilizzando un metodo non invasivo e più graduale e controllato: tamponi di cotone imbevuti di acqua deionizzata, leggermente riscaldata.
Il restauro commissionato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, finanziato dalla Fondazione non profit Friends of Florence, sotto la tutela della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, è stato affidato a Paola Rosa – che ha maturato una trentennale esperienza su opere di grandi artisti del passato tra cui Michelangelo stesso – coadiuvata da un’equipe di professionisti interni ed esterni all’Opera, tra cui Annamaria Giusti già direttrice del settore dei materiali Lapidei dell’Opificio delle Pietre Dure.
Il restauro odierno è da considerare il primo eseguito sulla Pietà dell’Opera del Duomo, in quanto le fonti non riportano particolari interventi avvenuti in passato, se non quello eseguito poco dopo la sua realizzazione da Tiberio Calcagni, scultore fiorentino vicino a Michelangelo, entro il 1565. Nell’arco di oltre 470 anni di vita, durante i numerosi passaggi di proprietà e le traumatiche vicende storiche, è presumibile che la Pietà sia stata sottoposta a vari interventi di manutenzione che però non risultano documentati perché considerati semplici operazioni di routine. Risulta, invece, documentato il calco eseguito nel 1882, di cui rimane la copia di gesso conservata alla Gipsoteca del Liceo Artistico di Porta Romana a Firenze. Si ha inoltre notizia di un trasferimento della Pietà alla Galleria dell’Accademia, dal 1946 al 1949, per studiare una collocazione migliore e in quell’occasione sembra che l’opera sia stata sottoposta a una “pulitura” di cui però non si conoscono i particolari.
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