Tra i vari compiti di un museo di arte antica come Palazzo Barberini, sede delle Gallerie Nazionali insieme a Palazzo Corsini, c’è quello di riflettere e studiare le loro collezioni permanenti, autentici scrigni di tesori mai sufficientemente valorizzati. Così, in questo momento di sospensione temporale dovuto al lock down, cosa di meglio da fare se non preparare mostre di studio, in attesa di future e prossime riaperture dei musei?
Dovremo aspettare almeno fino al 3 dicembre per poter visitare La Cananea restaurata. Nuove scoperte su Mattia e Gregorio Preti e Plasmare l’idea. Pierre-Etienne Monot, Carlo Maratti e il monumento Odescalchi, due esposizioni che gettano nuove luci su altrettanti episodi del Sei e Settecento a Roma, entrambe caratterizzate da accurati studi filologici e scientifici, condotti per La Cananea da Alessandro Cosma e Yuri Primarosa, e per il monumento Odescalchi da Maurizia Cicconi, Paola Nicita e lo stesso Primarosa. La prima parte dal restauro di Cristo e la Cananea, capolavoro di Mattia Preti custodito in una collezione privata e commissionato al pittore calabrese dai principi Colonna intorno al 1646-47. Un’opera che testimonia il talento dell’artista, capace di sintetizzare suggestioni provenienti da Venezia (Tintoretto e Veronese) con la pittura di Caravaggio, che Preti ha occasione di studiare dal vivo in quegli anni trascorsi a Roma.
“Il recente restauro ha confermato la qualità della tela- spiega Yuri Primarosa- ed ha permesso di cogliere ancora meglio i dettagli compositivi e la sintesi tra colorismo veneto e caravaggismo romano “.Per contestualizzare meglio l’opera i curatori l’hanno confrontata con l’Allegoria dei Cinque Sensi della collezione Barberini, eseguita a quattro mani da Mattia con il fratello Gregorio, autore della Nozze di Cana, un dipinto proveniente dal Pontificio Istituto Teutonico ed esposto per la prima volta. Più complessa e originale la vicenda del modello in legno dipinto e terracotta dorata del monumento funebre di papa Innocenzo XI Odescalchi nella Basilica di San Pietro, realizzato tra il 1695 e il ’97 dallo scultore francese Pierre-Etienne Monnot, invitato dal pontefice nel febbraio del 1687 a presentare un bozzetto per un concorso privato bandito dal principe Livio Odescalchi, nipote del pontefice. Monnot presenta quindi un modello in terracotta, esposto a palazzo Barberini e proveniente dal Museo del Bargello, ma a complicare le cose ci mette lo zampino il pittore Carlo Maratti, che convince il principe a modificare lo stile e l’iconografia dell’opera. Così il modello finale, di qualità ineguagliabile, è stato acquistato dal Mibac dopo essere stato conservato per più di un secolo nella cappella privata di palazzo Odescalchi: fulcro della mostra, è accompagnato dal primo modello del Bargello e dalla serie di tele eseguite da Andrea Sacchi e Carlo Maratti con i ritratti a figura intera degli Apostoli, eseguiti per il cardinale Antonio Barberini, ad indicare l’influenza esercitata da Maratti sull’ambiente artistico romano dell’epoca.
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